Fausto e Iaio, la tragedia del 1978 raccontata a teatro

Si chiude con un lavoro che invita a fare i conti con un passato non troppo remoto e che riapre il corpus spesso oscuro della storia del nostro Paese, la stagione teatrale di Pergine. Stasera, la pagina tragica e non ancora decifrata dell'assassinio, a Milano, di due diciottenni di sinistra, dei centri sociali (delitto «fascista», rimasto impunito) prenderà vita, grazie allo spettacolo Viva l'Italia. Le morti di Fausto e Iaio, in scena stasera alle 20.45 al teatro di Pergine, unica data in regione.Il regista argentino César Brie, uno dei grandi maestri del teatro mondiale, ci fornisce qualche anticipazione del percorso drammaturgico, a cui seguirà, nel foyer del teatro, un dibattito a cui parteciperanno alcuni parenti delle due vittime e lo stesso regista

di Manuela Pellanda

Si chiude con un lavoro che invita a fare i conti con un passato non troppo remoto e che riapre il corpus spesso oscuro della storia del nostro Paese, la stagione teatrale di Pergine. Stasera, la pagina tragica e non ancora decifrata dell'assassinio, a Milano, di due diciottenni di sinistra, dei centri

so Spettacolo Viva l'Italia. Le morti di Fausto e Iaiociali (delitto «fascista», rimasto impunito) prenderà vita, grazie allo spettacolo Viva l'Italia. Le morti di Fausto e Iaio, in scena oggi alle 20.45 al teatro di Pergine, unica data in regione.

 

Il regista argentino César Brie, uno dei grandi maestri del teatro mondiale, ci fornisce qualche anticipazione del percorso drammaturgico, a cui seguirà, nel foyer del teatro, un dibattito a cui parteciperanno alcuni parenti delle due vittime e lo stesso regista.

Brie, com'è nato il progetto?


«L'idea è nata leggendo il testo di Roberto Scarpetti [vincitore della Menzione speciale Franco Quadri al Premio Riccione per il Teatro nel 2011 e, proprio in questi giorni, del Premio Enriquez 2014 nella categoria ?Teatro di impegno sociale e civile?, sezione ?Premio per la drammaturgia?, ndr]. Quella notte del 18 marzo 1978, al centro sociale Leoncavallo, io me la ricordo bene. Ricordo il sangue e i fiori sulla strada dove Fausto e Iaio erano stati uccisi. Da subito ho capito che uno spettacolo su quella vicenda mi avrebbe fatto fare i conti con il passato».
Quanto ha pesato la sua esperienza autobiografica, il fatto di aver vissuto in prima persona quei momenti?
«Non so quanto esattamente abbia pesato. Sicuramente questo lavoro mi è molto servito per riflettere su quegli anni. Anni che ci si limita a liquidare con l'espressione anni di piombo e nei confronti dei quali si tende ad avere una visione manichea. In realtà quello era un periodo di grandi cambiamenti e di ideali, sporcati dalla violenza e da scelte estreme. Scelte che toccavano, sfioravano spesso persone che non c'entravano nulla con la violenza. Persone che - come me, Fausto, Iaio e tanti altri - lavoravano nei centri sociali e nel sociale. Questo spettacolo mi ha però anche aiutato a pensare da diversi punti di vista. Non a caso le vicende sono narrate in prima persona da 5 personaggi: Fausto (interpretato da Federico Manfredi), Angela, la madre di Iaio (Alice Redini), Giorgio, uno dei tre assassini (Umberto Terruso), il commissario della Digos titolare dell'inchiesta, Salvo Meli (Andrea Bettaglio) e un giornalista dell'Unità, Mauro Brutto (Massimiliano Donato)».


E in questa rilettura la sua visione di quegli anni è in parte mutata?


«In alcuni casi mi sono accorto di aver provato poca pietà per persone che ne avrebbero meritata di più. Ma non è cambiato il mio modo di pensare: le idee, i valori sono gli stessi. Questo spettacolo mi ha piuttosto permesso di riformulare pensieri che avevo dimenticato e ha permesso di fare, delle morti di questi due ragazzi, un paradigma di tutte le vittime della violenza politica».

 

«Viva l'Italia» ha fatto bene dunque innanzitutto a lei. Ma a quale pubblico si rivolge?

 

«A un pubblico ampio. È uno spettacolo che commuove molto gli adulti e gli anziani - che hanno vissuto in quegli anni - ma che non può non rivolgersi ai giovani che hanno tra le mani la possibilità di trasformare il presente, nonostante il lascito penoso, gravoso, triste e squallido che noi adulti lasciamo loro. È importante nutrire grande fiducia nei loro confronti: i giovani d'oggi non sono diversi da Fausto e Iaio - agnelli sacrificati all'altare della violenza; magari in altre forme - meno ideologiche e politiche in senso tradizionale - possono cambiare la società. E in alcuni casi ci stanno provando».

«Era una giornata primaverile, soleggiata, il ricordo è ancora vivo in me - racconta Maria Iannucci -. La notizia della morte di mio fratello mi colpì in maniera atroce. Il problema più grande era quello di dirlo ai miei genitori, che non avevano mai sopportato che facessimo politica e che consideravano Milano un posto pericoloso. Dopo la morte di Iaio non parlarono con i giornalisti, non reagirono, si chiusero in se stessi. Io al contrario, ho provato portare avanti questa battaglia. Con me tanti amici di Fausto e Iaio, tante persone desiderose di giustizia, ma soprattutto una donna che fin da subito ha mobilitato tutte le sue energie per cercare la verità, la madre di Fausto, Danila».

Erano le 19.30 quando i due ragazzi, che frequentavano il centro sociale Leoncavallo, furono raggiunti da otto colpi di pistola in via Mancinelli, dietro la chiesa di Casoretto, quartiere di Milano. Il corpo di Iaio cade esanime sull'asfalto. L'agonia di Fausto si conclude invece in ambulanza, durante il trasporto in ospedale. Avevano diciotto anni. Era il 18 marzo 1978. Migliaia di persone in corteo nella notte espressero la rabbia e il dolore per le morti di questi due giovani, che stavano conducendo indagini sul traffico di eroina e cocaina nel loro quartiere. Ai funerali, il 22 marzo, c'erano 100 mila persone. «Ma poi questi ragazzi sono stati abbandonati - lamenta la madre di Fausto, Danila, ripercorrendo la sua storia -. Fausto è nato a Trento, città da cui sono originaria. Ci siamo poi trasferiti in Germania e infine a Milano, dove mio figlio ha trovato la morte. Era un ragazzo davvero meraviglioso, un bravissimo studente, amato da tutti. Ci sono stati grandi funerali, ma poi in molti li hanno dimenticati. Prima di tutto lo Stato, le istituzioni. Che non hanno voluto fare giustizia».

Molte le rivendicazioni dell'omicidio, tutte con sigle fasciste, a cui si aggiunge l'ombra dei servizi segreti, dei poteri forti, tesi sollevata dalla madre di Fausto che ricorda come a poca distanza dalla sua abitazione si trovasse un covo delle Brigate Rosse, controllato da agenti dei servizi segreti, che erano di stanza in un miniappartamento situato all'interno della palazzina nella quale abitava la famiglia Tinelli. Fausto e Iaio sarebbero dunque vittime innocenti della strategia di quel periodo. Parallelamente al lavoro di ricerca della verità portato avanti da giornalisti indipendenti (su tutti Mauro Brutto, de l'Unità, investito da un'auto in circostanze poco chiare), vengono condotte le indagini, affidate a vari giudici, che non portarono mai a un processo. Fino al dicembre del 2000, con l'archiviazione definitiva.


«È stato come se mio figlio fosse morto un'altra volta - ricorda Danila -. Conosco i nomi e i cognomi di quelli che l'hanno ammazzato e sapere che sono vivi e vegeti provoca in me una grande sofferenza. Un colpo durissimo, da cui faccio fatica a riprendermi. L'unica speranza è che almeno si conservi la memoria di questi due ragazzi, la memoria di mio figlio, che è sepolto a Trento. Ma anche Trento l'ha dimenticato. Ho chiesto più volte al Comune di ricordarlo attraverso una lapide, una targa, un simbolo, ma non ho mai ottenuto risposta. Sarebbe un bel gesto». Nel 2001 Fausto e Iaio sono stati dichiarati vittime del terrorismo. «Per noi famigliari è stato un piccolo sostegno, una sorta di sollievo - racconta Maria Iannucci -. Sapere che per lo meno si è riconosciuto a livello ufficiale che questi due ragazzi non sono morti per strada, anonimamente, ci conforta. L'archiviazione definitiva è stata un brutto colpo: avere appreso che ?pur con forti indizi a carico di tre esponenti della destra neofascista legati alla banda della Magliana, Bracci, Carminati e Corsi, non è possibile procedere ad un processo? è stato un pugno nello stomaco. Quello che rimane è un delitto inquietante e insoluto. Non ci resta che tenere vivi i loro ideali».

comments powered by Disqus