Tozzi: «Orso, "medaglia" per il Trentino convivenza possibile con 60 esemplari»

di Daniele Benfanti

La convivenza uomo-orso non è semplice ma è nella natura delle cose, se si vuole un ambiente naturale integro. Perché l’orso è un marcatore di questa qualità. E il Trentino non può rinunciare a questa «medaglia», questo biglietto da visita prestigioso che si è costruito negli ultimi vent’anni, da quando gli orsi sono stati reintrodotti in Trentino dalla Slovenia.

Ne è convinto Mario Tozzi, geologo, ricercatore del Cnr, membro del consiglio scientifico del Wwf, divulgatore scientifico e autore e conduttore, da oltre vent’anni, di trasmissioni scientifiche nazionali sulla natura e le scienze della Terra.

Ma al momento fa notizia la prolungata fuga di M49 in un areale relativamente limitato, quello della Marzola, sui versanti di Villazzano, Cimirlo, Bosentino.

Professor Tozzi, innanzitutto dove può essere, oggi, M49, l’orso catturato nel Trentino occidentale e subito fuggito dalla struttura del Casteller a Trento lo scorso 15 luglio?

«Non voglio pensare a ipotesi che non siano la fuga ufficiale dall’area faunistica e il suo peregrinare nelle zone limitrofe. So dei possibili avvistamenti e di impronte che i forestali attribuiscono al suo passaggio non lontano dal punto di fuga. Certo è strano che un orso che si considerava così attivo, si sia alimentato per più di due settimane, senza farsi vivo, senza lasciare traccia di predazioni e, al tempo stesso, senza scappare a distanze maggiori. Se l’orso non mangia, però, può voler dire che non è più lì. Delle esche funzionerebbero molto bene per capirlo».

Che idea si è fatto, da uomo di scienza, della rocambolesca fuga dell’orso M49 a poche ore dalla cattura?

«Sono fortemente stupito. L’ho detto e l’ho scritto. Che gli sia stato tolto il radiocollare senza sedazione, che abbia superato un recinto alto quattro metri, che abbia attraversato indenne un’inferriata elettrificata a 7000 volt».

È corretto definirlo orso «problematico»?

«C’è tutta una nomenclatura definita dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Quello che pare evidente, è che non è pericoloso per l’uomo. E che la cattura va sempre giustificata e preferita all’abbattimento, che non è consentito senza parere vincolante proprio dell’Ispra. Non è nelle facoltà di un presidente di Regione o di Provincia autonoma. I sedici attacchi ad animali d’allevamento attribuiti a M49, poi, non hanno tutti una paternità certa e dimostrata».

Lei in un recente editoriale sulla stampa nazionale ha parlato di orsi tra incubo e miti… Ci spiega?

«Dove c’era, nell’antichità l’orso è sempre stato considerato divino, come il toro. Per l’impressione di potenza e forza. Tanto che abbiamo dedicato due costellazioni a questo animale, l’orsa maggiore e quella minore. C’è l’orso nel mito greco di Callisto, in Nordamerica prima di Colombo era un animale sacro, sfidato per prove di coraggio, inviolabile… È simbolo della California e di Berlino, dove orsi ora non ce ne sono. Pensiamo a un film di animazione della Disney, come “Koda, fratello orso” e a tanti cartoni animati. Gli orsi non sono Disney, però, non si può pensare di addomesticarli. Mantengono la loro natura, magari domabile in parte».

Chi vive la montagna tutto l’anno, la mantiene viva e vi fa economia agricola e zootecnica, dice che il problema è proprio questo, che è facile dalla pianura, dalle città, dal divano di casa, difendere a spada tratta la naturalità dell’orso…

«Beh, credo di essermi totalmente dimenticato del mio divano e di casa. Sono sempre in giro per il mondo. Conosco il Trentino e tante zone del pianeta. I forestali conoscono certamente bene il loro territorio. L’orso è una specie-ombrello, perché la sua sopravvivenza è di garanzia a quella di altre specie».

Ci sono allevatori che lamentano, oltre al danno economico delle predazioni, la paura costante e la perdita di animali d’affezione, ad esempio di miti asini, uccisi dall’orso e non sono esseri con meno dignità nel mondo animale.

«Sicuramente i danni economici vanno rimborsati con tempi celeri e quelli affettivi sono degni di rispetto. L’orso, però, è anche un animale-bandiera, che catalizza interesse e ha una valenza naturalistica, ecologica enorme… di alto pregio, che va al di là di un banale baratto con due galline, che sono animali che alleviamo noi».

Il Trentino, però, non è il Canada o Yellowstone. È un territorio attento all’ambiente ma anche piccolo, antropizzato anche in quota, dove la montagna non è mai stata abbandonata.

«Il Trentino può convivere con i 50-60 orsi attuali, perché alla specie serve fare massa critica. L’orso non salta recinti di quattro metri. Anche nel Parco nazionale d’Abruzzo gli allevatori si difendono dai lupi e dai cinghiali con i cani da guardianìa e dalle incursioni dell’orso con recinti elettrificati».

Cosa direbbe ai trentini che sono passati dall’entusiasmo iniziale del progetto di reintroduzione dell’orso a forti perplessità?

«Che l’orso non è solo un patrimonio del Trentino, ma di tutta Italia. Come le tartarughe marine carretta carretta non sono solo dei siciliani, ma anche dei trentini. Non bisogna cedere alle pressioni per mettere in discussione questo principio».

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