Matteo della Bordella, l'alpinismo è creativo

di Fabrizio Torchio

È tornato da poco dall’Oman, dove ha aperto una nuova via su una delle tante pareti rocciose del Paese. Ma il senso del suo spirito di scoperta lo si coglie meglio ad altre latitudini. Parliamo di Matteo Della Bordella, uno dei protagonisti più in vista del cosiddetto «alpinismo esplorativo» in zone remote, di avvicinamento non facile, su pareti e montagne tecnicamente impegnative. Premiato più volte per le sue salite (Grignetta d’Oro, Cassin, Ferrari i riconoscimenti più noti), Della Bordella è nato a Varese, ha 34 anni, e in montagna ci va da quando ne aveva dodici. Prima sulle Alpi, poi nel mondo, ad iniziare dalla Patagonia. Le sue riflessioni sulla rivista del Cai Montagne 360 («Fantasia e sogno», ottobre 2018) non passano inosservate.

Partiamo da una parola chiave di quell’articolo: creatività?
«L’alpinismo è una disciplina senza regole definite e, secondo me, una delle cose più belle è che ognuno è libero di seguire il suo istinto, la fantasia, le sue ispirazioni nello scegliere le sfide sulla sua misura.
Ancora più stimolante è essere creativi, esplorare, fare qualcosa al di là di quello che è stato fatto fino ad ora. Sto pensando ad alcune spedizioni che mi è capitato di fare dove, oltre alla componente alpinistica, c’era un’esplorazione anche orizzontale a 360 gradi».
Un esempio di queste esperienze?

«La prima volta è stata nel 2014 in Groenlandia, dove abbiamo salito una parete che si chiama Shark’s Tooth, dente di qualo. Oltre alla scalata abbiamo adottato l’approccio by fair means, cavandocela con le nostre forze, il che vuol dire un avvicinamento di 200 km con i kayak, scalare la parete e tornare sempre con i kayak. L’anno scorso in Patagonia abbiamo salito il Cerro Riso Patron, in un posto remoto. Siamo partiti dall’ultimo villaggio e con i kayak abbiamo percorso i fiordi fino al punto in cui è iniziato l’avvicinamento a piedi, quindi la scalata della parete e il ritorno. Questo permette di vivere un’avventura più completa, con una bella montagna da scalare come obiettivo finale. Al giorno d’oggi la cosa importante secondo me è quella di adottare uno stile pulito: utilizzare la minore quantità possibile di materiale e non lasciare traccia del proprio passaggio in questi che sono i luoghi più belli del pianeta».

Come organizza le sue spedizioni?
«Cerco di raccogliere tutte le informazioni sul territorio e di farmi un’idea. Mi oriento con la carta cercando la strategia migliore per arrivare alla parete. Ci sono a disposizione un sacco di aiuto tecnologici, mi piace per quanto possibile limitarli. Cerco le condizioni migliori».

Groenlandia: un’avventura completa...
«Abbiamo imparato ad andare in kayak pochi mesi prima in funzione di questa avventura. La parete è di granito, un terreno bellissimo per scalare. I problemi più grandi sono stati il fatto che i kayak era supercarichi di materiale e che c’è l’orso polare: non l’abbiamo incontrato per tutto il viaggio, l’ultima notte abbiamo dormito in una baracca abbandonata ed è entrato l’orso, ce lo siamo trovati a due metri, noi abbiamo urlato e per fortuna è uscito».
E in Patagonia?

«Il Cerro Riso Patron, sul lato cileno, ha due cime, noi abbiamo salito la Sud, che non era mai stata scalata, in una finestra di bel tempo. Una via di misto, all’inizio salita in dry tooling, nella parte alta su ghiaccio e neve a ?funghi?. Nei giorni di brutto tempo stavamo in una grotta. Abbiamo fatto cento km in kayak in tre giorni, cinque giorni al ritorno con vento patagonico contrario: è stato un problema, a volte ci dovevamo fermare».

Dove ci sono, oggi, spazi di alpinismo esplorativo?
«Con un po’ di fantasia in tanti luoghi del pianeta: sicuramente nelle zone artiche e in Alaska ci sono un sacco di pareti e montagne remote che nessuno ha mai scalato.
Qui c’è un potenziale enorme. In Asia, anche, in zone del Pakistan, o della Cina, difficili da raggiungere anche per motivi politici, o in India dove ci sono montagne mai scalate. Ma questi sono gli esempi più lampanti, secondo me grandi avventure sono possibili anche in altri luoghi del pianeta non così scontati, fuori dalle rotte battute dagli alpinisti».

Ci racconta dell’Oman?
«È stata una vacanza, siamo andati per scalare e divertirci.
È uno dei luoghi sconosciuti dove c’è la possibilità di fare alpinismo esplorativo sulle tante pareti di roccia, ci sono tante possibilità. Ci sono stati anche degli alpinisti italiani».

Gli ottomila la interessano?

«La quota è una sfida interessante, il numero non mi dice niente. Mi piacciono le pareti difficili, finora sono stato fino ai 6mila metri, mi piacerebbe confrontarmi con una sfida a quote un po’ più alte ma sempre dove c’è una parete difficile da scalare».

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