Dramma sul Nanga Parbat, Revol racconta il calvario sulla cima

Calvario ad alta quota. L’alpinista Elizabeth Revol racconta la sua tragica spedizione sull’Himalaya, da cui il compagno di cordata polacco, Tomasz Mackiewicz, non è tornato.

Intervistata dai media francesi a Sallanches, il comune dell’Alta Savoia in cui è ricoverata per il grave congelamento di entrambe le mani e del piede sinistro, l’insegnante francese sopravvissuta alla tragedia in mezzo ai ghiacci racconta la sua salita sul Nanga Parbat (8.126 m) - la montagna killer, in Pakistan -, una prima assoluta per una donna in pieno inverno, senza ossigeno e senza sherpa: «Era il mio quarto tentativo invernale, il settimo per Tomek e il terzo insieme».
Del suo compagno di cordata, lasciato lassù, Eli - come la chiamano affettuosamente amici e parenti - parla ancora al presente.

Consapevoli dei rischi, i due si erano lanciati il 20 gennaio scorso in un’avventura al limite dell’impossibile, da cui è tornata solo lei. La vetta l’hanno conquistata insieme, in qualche giorno di scalata. «Stavamo così bene lassù...», sospira la donna ricordando quei momenti, ma il piacere dura un attimo. Tomek viene colpito da un’oftalmia, le dice di «non vedere più niente», dovevano assolutamente rientrare. L’uomo si è aggrappato alla sua spalla e insieme hanno cominciato la discesa, una discesa agli inferi, in piena notte, in terreno ostile.

A un certo punto Tomek non ce la faceva «più a respirare, si è tolto la protezione dalla bocca e ha cominciato ad andare in ibernazione. »Il naso diventava bianco, poi le mani, i piedi...«, ha raccontato la donna, gracilissima (1m56 per 43 kg), nell’intervista alle tv francesi. I due hanno cercato di ripararsi, almeno dal vento che soffiava così forte ad alta quota, e si sono calati dentro un crepaccio. Il polacco era esausto, raggiungere il campo era impossibile, il sangue cominciava a colare dalla bocca. Eli ha chiamato i soccorsi. Le hanno detto di scendere a 6.000, che poi sarebbero a recuperare Tomek a 7.200.

«È stato deciso così, non ho scelto io, me l’hanno imposto». La francese lo ha lasciato lì. «Senti - le ha detto - gli elicotteri arriveranno a fine pomeriggio, io sono costretta ascendere, verranno a prenderti». Eli ha inviato la posizione precisa con il Gps. Ma i soccorsi non sono arrivati, neanche a recuperare lei, che ha passato una seconda, poi una terza notte all’addiaccio, con tanto di allucinazioni. Verso le 3:30 del mattino ha raggiunto miracolosamente il campo 2, a 6.300 metri. «È stata una grande emozione».

Il resto è storia recente, l’evacuazione a Islamabad, domenica e il ritorno in Francia, martedì sera. L’avvenire Elisabet Revol lo affronta con ottimismo: «Voglio recuperare al massimo», evitando, spera, l’amputazione, ma «soprattutto voglio andare a trovare i figli di Tomek». Tornare in montagna? «Si, ne ho bisogno, è troppo bello lassù».

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