Neve artificiale a rischio causa siccità L'acqua dei bacini non può bastare

di Franco Gottardi

C'è preoccupazione tra i gestori delle stazioni sciistiche trentine per la lunga siccità che sta interessando anche la nostra provincia; non tanto e non solo per la prospettiva di un altro inverno senza o con poca neve naturale ma anche per le difficoltà che si potrebbero presentare nel produrre quella artificiale.

Per attivare i cannoni, ormai disseminati su quasi tutte le piste, servono due elementi: acqua e temperature sotto lo zero. Il freddo non è ancora intenso ma in montagna qualche escursione termica è stata registrata. Per quanto riguarda l'acqua, nonostante l'ottobre secco nei bacini di accumulo ce n'è in abbondanza, raccolta nelle scorse settimane e anche negli ultimi giorni visto che i torrenti di montagna ne sono ancora ricchi.

La preoccupazione riguarda però le prossime settimane, perché soprattutto nei periodi di preparazione delle piste se ne utilizza tantissima e se nel frattempo rii e torrenti dovessero ridursi e ghiacciare quella dei bacini artificiali andrebbe ad esaurirsi senza la possibilità di rimpiazzarla. «A parte Campiglio che ha la fortuna di avere una riserva gigantesca - spiega Valeria Ghezzi, presidente dell'Anef, associazione nazionale esercenti funiviari - nelle altre località i bacini si svuotano e si riempiono anche due o tre volte in un inverno ma con determinate condizioni climatiche questo diventa difficile».

Insomma, anche l'innevamento artificiale, senza il quale una stagione come quella scorsa sarebbe stata fallimentare, non affranca dalle bizze del tempo. E d'ora in avanti ogni occasione sarà buona per iniziare ad accumulare neve sparata negli avallamenti e nei posti in ombra, per poi stenderla sulle piste nei giorni che precederanno verso fine mese l'apertura della stagione. Tra le raccomandazioni del Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche (Pguap) al capitolo «neve artificiale» c'è quella di evitare di sparare prima del mese di novembre e ormai ci siamo. «In realtà - spiega Ghezzi - i primi giorni di freddo vengono usati più che altro per provare gli impianti. Ma poi a brevissimo si inizierà a fare i mucchi».

Sul territorio ci sono situazioni molto variegate per altitudine, esposizione delle piste al sole e potenza degli impianti di innevamento. Le stazioni più all'avanguardia hanno cannoni in grado di produrre nel giro di due o tre giorni il fabbisogno per due o tre piste, altre devono prendersi in tempo e sfruttare tutti i momenti buoni. Ci sono anche limiti nelle norme e negli atti di concessione ma questo non sembra essere un problema.

«Ben pochi raggiungono questi limiti» assicura Ghezzi. E non è, stando ai dati forniti dal Rapporto sullo stato dell'ambiente della provincia, grazie alla generosità dell'ente pubblico perché in realtà le 142 derivazioni per l'innevamento nel 2015 hanno raccolto 640 litri di acqua al secondo, pari ad appena lo 0,4% del totale, a una distanza siderale dai 99.200 litri al secondo derivati a scopo idroelettrico (55% complessivo) o dai 43.330 raccolti a scopo agricolo (24%).

Più stringenti sono semmai i limiti imposti dal Pguap a seconda dell'altitudine: non più di 40 centimetri di spessore in un inverno sulle piste ad oltre 2000 metri, di 50 centimetri tra i 1800 e i 2000 metri, di 60 centimetri tra i 1600 e i 1800 e di 70 sotto i 1600. Valori a cui comunque la Provincia può derogare in caso di necessità.

Certo tutta questa neve sparata costa parecchio, fino a 2 euro a metro cubo. «Costa ma - fa presente Fulvio Rigotti, vice presidente di Trentino Sviluppo con delega a turismo e promozione e presidente di Trento Funivie - costerebbe molto di più non produrla se si pensa a quanto reddito e quanti posti di lavoro, non solo nel settore degli impianti, verrebbero a mancare senza».

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