Un sito dell'età del Bronzo a oltre 2.200 metri di quota

Scoperto dagli archeologi del Progetto Alpes sui pascoli alti di Ortisé

di Fabrizio Torchio

Le prime evidenze di una frequentazione preistorica dei territori in quota della Val di Sole, fra i 2000 e 2500 metri, emergono in Val Porè. L’indagine archeologica del Progetto Alpes condotta sui pascoli più in quota, lambiti dai rock glaciers, ai piedi di cima Valletta e cima Mezzana, restituisce materiali dell’età del Bronzo che aprono nuovi scenari di ricerca nelle «terre alte».

Oltre ad elementi di pietra scheggiata e ad un blocco di selce non locale, verosimilmente portati qui da altri luoghi situati all’infuori della Val di Sole, dagli strati dello scavo sono emersi oggetti di vivo interesse - in tutto una cinquantina - come il bordo di un vaso in ceramica, un probabile peso, pietra levigata, carboni e altri materiali, tutti catalogati e che ora verranno analizzati e studiati.

«Non sono mai stati ambienti marginali, come sono stati a lungo considerati, questi ambienti montani d’alta quota - osserva il professor Diego  Angelucci, che con Francesco Carrer dirige la ricerca sul campo - ma erano frequentati e abitati dal 2000 a. C., come del resto confermano i dati degli scavi archeologici condotti in Sudtirolo» (in Val Senales fino a 2500 metri circa). E dal Sudtirolo giovedì scorso è arrivato in Val Porè uno dei protagonisti di questo ambito di ricerca in alta montagna, l’archeologo Andreas Putzer, che ha potuto prendere visione dell’ultimo sito indagato da docenti e studenti dell’Università di Trento (al lavoro nello scavo anche Fabio Cavulli), e dei recinti di pietre a secco studiati negli anni scorsi nell’ambito dello stesso progetto.

Testimonianze pastorali dell’età del Bronzo in Trentino - ci ricorda Angelucci illustrandoci la morfologia dei luoghi e gli insediamenti stagionali dei pascoli di Ortisé - ve ne sono in Giudicarie: al Dosso Rotondo (Storo) un sito risalente al 1700-1600 a. C. è stato indagato a 1876 metri di altezza. Qui, in Val Porè, il radiocarbonio ha permesso di datare livelli fra il 1800 e il 1700 a. C. mentre lo studio di un altro recinto di pietre ha rivelato sei fasi diverse di costruzione, recuperando dagli scavi (anche in Val Molinac) reperti dell’età del Ferro, medievali e post medievali.

«Fra il 1800 e il 1700 a. C. - riassume il docente dinanzi allo scavo in corso - si può venire ad abitare stagionalmente qui, su una superficie stabile e dove cresce la vegetazione; poi succede qualcosa e lo strato dell’età del Bronzo viene ricoperto». E capire ciò che è accaduto - un fattore climatico o di origine antropica - è ovviamente una delle tante domande alle quali il team di «Alpes» cercherà di dare risposta, presumibilmente tornando sul sito l’anno prossimo dal momento che la campagna di ricerca del 2017 volge ormai al termine.

Nei resti dei vari recinti in pietra, usati per il ricovero degli animali (le «Mandrie»), delle capanne («bait») e dei ripari, finora sono state portate alla luce centinaia di reperti, per la maggior parte attribuibili al periodo fra XV e XVII secolo (ceramica, pietra scheggiata, oggetti metallici, una perlina in vetro di Murano e una chiave da cassone, ma anche una moneta cinquecentesca della Zecca di Venezia ai tempi del doge Gerolamo Priuli). Alcuni reperti databili fra il 1000 e l’800 a. C. sono attribuiti alla Cultura di Luco. «Quella che era una valle frequentata nel Medioevo - osserva Angelucci - era abitata anche nella preistoria recente, ciò che emerge dimostra potenzialità notevoli per conoscenze più approfondite di un passato in questi ambienti».

Il progetto di ricerca Alpes (Alpine Landscapes: Pastoralism and Environment of Val di Sole), sviluppato dal Dipartimento di lettere e filosofia dell’Università di Trento in collaborazione con la Soprintendenza provinciale per i beni culturali, è nato per studiare l’utilizzo, pastorale e non, delle aree montane. E queste valli in quota, utilizzate per secoli dalle popolazioni di Ortisé e Menas, si stanno rivelando il luogo giusto.

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