Il cuoco «forestale» e il suo monte Corno

di Renzo Maria Grosselli

Sulla sua casa, in un angolo del Monte Corno che è della Magnifica Comunità di Fiemme, terra di Capriana, volano il crosnòbol (becchincroce) e l’uccello spazzacamino. E vengono a villeggiare le anatre selvatiche, anche se i metri di altitudine sono 1720 (cento metri più in alto c’è la vetta del Trodner Horn).

Qui Giancarlo Iori, nato da madre di  Livinallongo e padre di Canazei, è venuto a posare in età matura. Dopo aver fatto l’albergatore, lo chef di successo, la guardia forestale e averne combinate «de tuti i colori, ma sempre laorando». A dargli una mano, anzi due, al Rifugio Monte Corno, ex Malga Monte Corno, struttura gestita per secoli dal Comune di Trodena, c’è una maestra. Che di nome fa Dragana e che nel cuore porta il suo Paese, la Serbia.

Giungiamo a Capriana quando il mattino è fatto e in auto andiamo quattro chilometri più in là, a Prà del Manz. È già tempo di larici, abeti e cince. Quando partiamo a piedi, quota 1.100 metri, siamo soli sull’ampio sentiero sterrato, in osmosi col bosco. I cartelli annunciano l’albero monumentale Pec del Bosnia e già camminiamo tra le felci.

Deviando, transitiamo in un grande prato su cui si ergono enormi larici, maestosi. Il sapore è di foresta di Fiemme. Si va su gradualmente, col tempo di trovare il respiro giusto. Anche gli abeti rossi, banalmente, sono imponenti. Al bivio ci accorgiamo che ci hanno scippato l’albero monumentale, che sta su un sentiero che è altro dal nostro. Entriamo adesso nel Parco Naturale del Monte Corno e la scritta è in tedesco perché siamo in territorio di Trodena.

Il sottobosco è troppo secco, non piove o nevica bene da mesi: ci stiamo facendo molto male. Ora il sentiero s’impenna e il monte chiede la giusta fatica al viandante, un tributo di sudore ma non  flettiamo il passo. Non sarà un tempo lungo, dopo un’ora e un quarto ecco il Rifugio. Le famigliole completano il cammino in due ore o poco più.

Ci aspetta Giancarlo Iori, 59 anni. «Il vecchio era imbianchino – racconta – ma alla fine ha messo in piedi una pensioncina a Corvara. Io sono il più grande di otto figli. I miei fratelli si sentono badioti. Io mi sento italiano, di lingua madre ladina».

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La tua vita? «Ho iniziato a 16 anni a fare il cuoco, – dice mentre all’orizzonte adocchiamo cinque asini – al Ristorante Chiesa di Trento. Poi la naja, carabiniere a Laives. Tornato dai miei a Corvara sono rientrato in cucina, pochi anni».

E lì un altro cambiamento, stavolta radicale. «Sono entrato nella Forestale, alla stazione di Egna. Mi ero sposato, abbiamo avuto dei figli ed ho vissuto sette anni nei boschi. Una vita bellissima».

Quest’uomo ha gli occhi franchi, senti che gli puoi credere. La moglie di Giancarlo aveva un albergo a Trodena, col Ristorante al Mulino. «Lo risanai e lo ripristinai». Lasciò la Forestale, tornando in cucina e facendosi anche un nome. «Credo di aver vissuto in cucina per 40 anni e per 25 sono stato albergatore».

Cuoco di un certo livello, vero? «Sono amico di tanti chef – e lo dice con quelle mani ruvide, da lavoratore – ma non me la tiro: Alfredo Chiocchetti ex Scrigno di Trento, Giorgio Nardelli del Laurino di Bolzano, Mario Giovanella del Chiesa, Sergio Rossi, il matto del Rifugio Fuciade».

È la figlia oggi che gestisce albergo e ristorante a Trodena mentre il figlio opera a Bolzano, Bistrò La Mila.

Mai fermo Iori. «Ad un certo punto ho iniziato a viaggiare, quattro volte in Brasile... vìver e far comèdia va bèn... ma prima ghè el laoro».

Viene una signora dai capelli corvini, col costume tirolese a servirci il vino bianco. È una maestra serba, Dragana Kulic, di Novi Sad. «Sono qui da tre anni, – afferma col suo italiano perfetto, come il tedesco del resto – da otto sono in Italia».

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E in questo angolo che sta tra italiani e tedeschi, avverti che potrebbero starcene altri di uomini e donne, che la montagna li accoglierebbe. Se... prima el laoro. In questo che oggi è un rifugio, Iori ci sta invece da 9 anni: «Era un agritur alla fine, il precedente gestore, Karl Hass, lasciava e mi chiese se volessi gestirlo. Dissì di sì, c’era anche la malga insieme, 50 vacche da latte degli allevatori di Trodena».

Sorsero dei problemi burocratici e così la Magnifica Comunità, padrona della malga, decise di trasformare la struttura in un rifugio alpino. «Amo gli animali, ho mantenuto la stalla e all’estate porto qui una decina di bovini e qualche maiale che allevo in libertà. E accolgo le anatre selvatiche. Ogni anno vengono qui a covare 7, 8 piccoli, poi migrano».

Sembra una favola, come la vita di Giancarlo Iori che ama anche lavorare il legno. «Faccio pure il falegname, i 10 ettari di pascolo li ho recintati io». Non all’estate, certo, quando fa il cuoco con Dragana. Goulasch, capriolo, patate e uova, canederli alla trentina ma anche col fegato. E la maestra serba è l’artista dei dolci, lo strudel e le fortàie con la marmellata di mirtillo rosso del Monte Corno.

Stiamo su una terrazza che è una piattaforma che si affaccia sugli abeti e su tre file di montagne. C’è gente che parla tedesco e italiano (si arriva su dalla valle di Cembra, da Cauria, Trodena, Capriana e valle dell’Adige). E ci cibiamo mentre un lucherino dà di bècco sul tavolo di fronte. Arriva altra gente. Non solo a piedi, anche col mountain bike perché il percorso lo permette e di qui passa il Sentiero Europeo E5.

Giancarlo e Dragana a questi viandanti offrono anche 10 posti letto «da hotel, con acqua calda e doccia». Un’offerta diversificata.

Ma è giunta l’ora di scendere e lasciare quest’uomo dei monti che ha una lunga storia alle spalle. E quando ci addentriamo, in percorso deviato, sotto i larici antichi, avvertiamo una stretta al cuore.  

Perché questa non è scrittura. Ma pura, reale bellezza.

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