Daidola e Sciamplicotti Sulle tracce di Shackleton

Dall’aprile al giugno prossimi, alla biblioteca centrale di Manchester, in Inghilterra, verrà ricordata in una mostra una delle spedizioni antartiche più celebri di tutti i tempi, quella di Ernest Shackleton del 1914-1917.
Prima della sede della Manchester Central Library, nel centenario di quella che fu una lunga e difficile marcia sul pack, poi una dura traversata oceanica e alpinistica per la salvezza, la mostra «Enduring Eye. The Antarctic Legacy of Sir Ernest Shackleton and Frank Hurley» è stata ospitata a Londra nella sede della Royal Geographical Society (www.rgs.org). In esposizione, le immagini originali della spedizione, mappe, giornali dell’epoca.

I frequentatori del Trento Filmfestival ricorderanno peraltro che nel 2005 fu proiettato «South: Ernest Shackleton and the Endurance Expedition», il film girato da Frank Hurley, l’operatore australiano ingaggiato dall’esploratore anglo-irlandese, nella «spedizione transantartica imperiale» al Polo Sud.

Shackleton, nato in Irlanda nel 1874, si era imbarcato sulle navi a sedici anni e nel 1900 aveva preso parte alla spedizione antartica di Robert Falcon Scott organizzata dalla Royal Geographical Society. Nel 1907 aveva condotto una spedizione esplorativa in Antartide con il veliero Nimrodd e si era diretto verso il Polo Sud, lungo la via che sarebbe poi stata seguita da Scott nel 1912, ma aveva dovuto invertire la marcia.

Nel 1914, mentre la Germania dichiarava guerra alla Russia, il 1° agosto, la nave «Endurance» lascia l’Inghilterra con 28 uomini a bordo, diretta a Buenos Aires. Obiettivo della spedizione, la traversata dell’Antartide dal Mare di Weddel al Mare di Ross toccando il Polo Sud.
3.300 chilometri da percorrere con le slitte, trainate da cani esquimesi, in 120 giorni. Un’impresa mai tentata prima. La «Endurance» salpa dal porto argentino il 26 ottobre, destinazione Georgia del Sud, l’isola ghiacciata da dove riparte il 5 dicembre diretta a sud. In febbraio resta intrappolata nel pack e, stretta dalla pressione del ghiaccio, inizia a muoversi verso nord-ovest: una deriva di duemila chilometri.  Il 27 ottobre 1915 l’equipaggio è costretto ad abbandonare la nave e ad allestire sul pack l’«Ocean camp».

Il 21 novembre l’«Endurance» affonda, agli uomini della spedizione restano le scialuppe.

Inizia l’odissea sul ghiaccio: trainando tre scialuppe cariche di viveri, Shackleton e i suoi compagni si dirigono verso il mare aperto e il 15 aprile raggiungono faticosamente l’Elephant Island. Il freddo è terribile, ma gli uomini piangono di gioia. Il 21 aprile 1916, Shackleton e altri quattro uomini decidono di usare una scialuppa, la James Caird, per coprire le 750 miglia, in uno dei mari più tempestosi del mondo, che li separano dalla South Georgia, dove potranno chiedere aiuto e far partire i soccorsi per gli altri membri della spedizione. Li aspetta la traversata dell’Oceano Antartico per 800 miglia su di una scialuppa scoperta e il superamento delle montagne della Georgia Australe.

Hanno cibo per un mese, un cronometro, un sestante. Il tentativo riesce, e dopo due settimane Shackleton e i quattro uomini riescono a toccare terra nella baia di Re Haakon, la King Haakon Bay, ma il porto baleniero si trova sul versante opposto dell’isola e fra Shackleton e la salvezza vi sono montagne e ghiacciai mai attraversati prima.

Dopo aver rimesso in acqua la barca e trovato un altro punto di sbarco, in 36 ore, diventati alpinisti, nonostante le difficoltà, il capo spedizione e due uomini riescono alla fine a raggiungere la base baleniera di Stromless sul versante nord. Vi arrivano dopo una traversata di 42 chilometri, e riescono poi a trarre in salvo gli uomini che erano rimasti sull’altro versante dell’isola. Erano partiti due anni e mezzo prima. Ci vollero altri quattro mesi, e non poche difficoltà, per raggiungere con una spedizione di soccorso anche gli uomini rimasti sull’Elephant Island. Si salvarono tutti.

A cento anni dall’Endurance, spedizione nella quale vedono un esempio di «management», il docente di economia all'Università di Trento Giorgio Daidola e il regista Alberto Sciamplicotti vorrebbero ripercorrere l’ultima parte, la traversata della South Georgia, utilizzando gli sci da telemark, per «rendere omaggio al grande esploratore nel centenario dell’impresa - spiegano - e riflettere sulla seduzione delle grandi traversate in sci. Inoltre, la South Georgia presenta innumerevoli cime mai salite e scese in sci e, se il tempo sarà clemente, abbiamo il fermo proposito di dedicarci anche a quelle, facendo del vero scialpinismo di ricerca».

All’isola, i due scialpinisti arriverebberi in barca, partendo dalle isole Falklands: «Anche se non raggiungeremo, come Shackleton, la Georgia su di una scialuppa (impresa peraltro già ripetuta dall’australiano Tim Jarvis con 5 compagni con il beneplacito della James Caird Society) - spiegano - lo faremo con una barca a vela dalle isole Falklands, con una navigazione di almeno una settimana con venti portanti all’andata ma contrari al ritorno. In un mare segnato da iceberg e con inevitabili tempeste ricorrenti».

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