Cantine Ferrari, la svolta «bio» 150 ettari certificati in tre anni

di Fabia Sartori

Le Cantine Ferrari di Trento sud puntano al 100% sull'agricoltura biologica: tutte le bottiglie che giungono sul mercato con il marchio della famiglia Lunelli provengono da colture che non fanno uso di pesticidi. Complessivamente si tratta di seicento ettari coltivati grazie all'impiego di «buone pratiche sostenibili»: cento ettari fanno riferimento alla coltivazione diretta da parte dei Lunelli, mentre i rimanenti cinquecento sono coltivati da circa cinquecento conferitori. Attualmente la superficie con certificazione «bio» è di circa 50 ettari, che presto (nel giro di tre anni, ndr) raggiungeranno i 150 ettari.

Se il Trentino è in ritardo sulle coltivazioni biologiche con «solo» il 4,8% della superficie agricola provinciale «libera» da pesticidi, il comparto vitivinicolo sta svolgendo il ruolo di «trascinatore» con quasi cinquecento ettari di vitigno certificato biologico ( l'Adige di ieri, ndr). In tal senso le Cantine Ferrari hanno spostato l'intera produzione verso la sostenibilità.

«Gran parte del settore vitivinicolo trentino si è già mosso in questa direzione - specifica il responsabile tecnico e vicepresidente di Cantine Ferrari Marcello Lunelli - Ed auspichiamo che questo processo di evoluzione e consapevolezza prenda sempre maggior piede: non dimentichiamo che il neopresidente del Consorzio vini del Trentino, Alessandro Bertagnolli , coltiva frutteti e vigneti con metodi biologici.

E che questa è la stessa filosofia che il Consorzio sta portando avanti». Non solo: il comparto vitivinicolo trentino è fortemente legato alla cooperazione, e la speranza di Lunelli è che i princìpi del biologico possano espandersi a «macchia d'olio» anche grazie alle aziende cooperative.

Il progetto di «conversione» al biologico delle Cantine Ferrari non nasce dall'oggi al domani: dal 2008 ha preso il via il processo di avvicinamento, che ha immediatamente interessato i cento ettari di proprietà delle Cantine Ferrari. Attualmente, l'adozione di pratiche sostenibili riguarda tutti i cento ettari citati, venti dei quali godono già della certificazione biologica. «Nel febbraio del 2014 l'intera superficie in coltivazione diretta è passata in «conversione» - spiega Lunelli - Il che significa che nel 2017 i cento ettari saranno certificati».

E la consapevolezza dell'importanza di adottare soluzioni biologiche è stata «estesa» anche ai cinquecento fornitori delle Cantine Ferrari ed ai cinquecento ettari da loro coltivati. «Ad oggi, ben 25 ettari sono certificati "bio" - spiega l'agronomo e responsabile del Gruppo tecnico viticolo delle Cantine Ferrari Luca Pedron - Nel 2015 ben trenta agricoltori hanno scelto di certificarsi». Il che significa che almeno altri 30 ettari di aggiungeranno alla produzione certificata entro il 2018 (il tempo tecnico per ottenere la certificazione è di tre anni, ndr).

Escludendo la parte certificata bio, la maggior parte dei seicento ettari da cui le Cantine Ferrari traggono la loro produzione è coltivata con pratiche «simil-biologiche», in cui gli unici trattamenti consentiti sono a base di zolfo e di rame (sostanze che non penetrano nelle piante e nei frutti). Queste modalità di produzione sono contenute all'interno del «Protocollo Ferrari di viticoltura di montagna salubre e sostenibile», che fa riferimento alla normativa Uni 11233. «L'agricoltura «simil-bio» ha l'importante compito di fare da "ponte" tra l'agricoltura tradizionale e quella certificata bio - dice Lunelli - In tal maniera gli agricoltori acquisiscono consapevolezza in merito alla sostenibilità agricola, e soprattutto sperimentano che "si può fare" anche senza sostanze chimiche».

Il vicepresidente Lunelli traccia anche la «storia bio» delle Cantine Ferrari: «Anni fa siamo partiti perseguendo l'idea di sostenibilità, che nasce dall'equilibrio tra aspetto sociale, economico ed ambientale - afferma - Nella convinzione che l'agricoltura ha una forte responsabilità nei confronti territorio circostante e delle persone che lo vivono, e contemporaneamente deve essere in grado di fornire materie prime (uva, ndr) di alta qualità». La sintesi è stata trovata con le colture biologiche. «Un'ulteriore spinta verso il "bio" è stata certamente - conclude - la possibilità di ottenere uvaggi di alta qualità, riducendo al minimo gli interventi degli enologi in cantina».

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