La Lessinia fra Trentino e Veneto grande scenario del ritorno del lupo

«Lupi italici e dinarici si sono “incontrati” proprio in Lessinia, tra Trentino e Veneto, rendendo di fatto quest’area delle Alpi una delle più interessanti dal punto di vista della conservazione del lupo». Lo scrivono gli esperti faunistici Andrea Mustoni (Parco Adamello Brenta), Alessandro Brugnoli (direttore tecnico dell'Associazione cacciatori trentini) e Luca Pedrotti (Parco dello Stelvio) in un'approfondita analisi del ritorno del lupo sull'arco alpino, pubblicata nell'ultimo numero (il 98 di marzo 2015) della rivista Il Cacciatore trentino.

«Grazie a diversi fattori, tra i quali l’abbandono dei territori montani e collinari marginali e l’aumento delle popolazioni di ungulati selvatici, nel corso degli ultimi 25 anni la popolazione italiana di lupo (Canis lupus) è aumentata in modo significativo sia in termini numerici sia di areale. Sono stati infatti ricolonizzati la quasi totalità degli Appennini e larghe porzioni delle Alpi centro-occidentali.

Il lupo è tornato sulle Alpi a partire dall’inizio degli anni ‘90 grazie ad un’espansione verso nord delle popolazioni appenniniche: successivamente si è resa evidente anche un’espansione sull’asse est-ovest a partire dalla popolazione dei Monti Dinarici sloveni e croati. Nonostante questo, la specie è ancora lontana da una distribuzione conforme alle potenzialità offerte dal territorio italiano ed alpino in particolare».

I tre esperti esaminano anche i risvolti economici e sociali che rappresentano una criticità del fenomeno naturale: «Se da un lato è evidente che negli ultimi decenni si è progressivamente “fatta strada” una maggiore consapevolezza circa la sua importanza ecologica, non vanno sottovalutate le problematiche economiche che sempre si accomtiche meno “carismatiche”. Nonostante questo, è chiaro che la situazione vada interpretata anche alla luce dell’atteggiamento psicologico dell’uomo nei confronti di un animale visto tradizionalmente come “cattivo e pericoloso”.

L’insieme di questi concetti porta a far sì che il vero problema connesso al ritorno del lupo sulle Alpi sia l’accettazione che gli viene accordata dalle popolazioni che vivono o frequentano l’area. Tale problematica è così rilevante che gli zoologi che si occupano di conservazione dei Grandi carnivori sono ormai abituati a parlare di “habitat politico”, ovvero della disponibilità di aree dove la presenza di orso, lupo e lince è tollerata, senza che fenomeni come il bracconaggio di “ritorsione” abbiano un’incidenza negativa così forte da metterne in pericolo la sopravvivenza».

«Il lupo - si legge ancora nell'articolo - è un proverbiale camminatore, capace di spostarsi anche di centinaia di chilometri dal luogo di nascita. Tale caratteristica ha portato lupi in dispersione a fare la loro comparsa anche in zone lontane da dove la loro presenza era considerata “normale” o quantomeno un fatto assodato.

Questa situazione, se da un lato ha favorito la velocità di colonizzazione di nuove aree, ha portato frequentemente l’opinione pubblica a pensare che la specie fosse stata oggetto di immissioni illegali, reputando impossibile un suo ritorno spontaneo. In realtà tutte le tappe della neocolonizzazione dell’Arco alpino sono documentate e documentabili e raccontano la storia di una specie che, nonostante secoli di persecuzione da parte dell’uomo, è riuscita a ritrovare uno spazio significativo anche nelle zone apparentemente più antropizzate delle nostre montagne.

Ciononostante sono nate – un po’ ovunque sono “ricomparsi” i lupi – delle vere e proprie leggende metropolitane (o meglio, alpine…), secondo le quali alcune amministrazioni pubbliche – ed in particolare i parchi – avrebbero ‘rilasciato’ lupi all’insaputa della gente e delle autorità. Anche il Trentino non si è sottratto a questa logica errata, tanto che anche qui sarebbe stato, secondo alcune versioni locali, lo stesso Parco Naturale Adamello Brenta ad immettere abusivamente dei lupi per far compagnia alle migliaia di vipere paracadutate dagli elicotteri ed agli orsi (quelli sì immessi legalmente a partire dal 1999!).

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È evidente che immettere dei lupi senza regolari permessi sarebbe un’azione illegale ed accusare, senza peraltro prova alcuna, un’amministrazione pubblica di averlo fatto è semplicemente diffamazione: ma al di là di questo, è altrettanto evidente che la reintroduzione dei lupi in qualsiasi sito in Italia sarebbe un’operazione inutile e illogica se si pensa alle eccezionali doti di colonizzatore che il canide ha mostrato negli ultimi decenni e alla dinamicità della situazione in atto che è in costante evoluzione».

L'articolo [la cui versione integrale è scaricabile qui] si conclude con uno sguardo sulla possibile evoluzione: «Insomma, è da prevedere che la dinamica di espansione del lupo nell’Arco alpino centro-orientale italiano – ed in particolare in Trentino – sia ancora più veloce di quello che si poteva ritenere solo fino a qualche anno fa: si pensi che la prima evidenza di frequentazione della specie in questo settore delle Alpi italiane, costituita dal rinvenimento dei resti completi di un lupo maschio – di origine rivelatasi poi dinarica – sui versanti orientali del Corno Nero (in comune di Varena, Trentino orientale), data in effetti solo al 2007. Curiosamente, è proprio in comune di Varena che la documentazione storica attesta la presenza dell’ultimo lupo trentino, abbattuto verso il 1860».

[Nella foto, i sette cuccioli di lupo nati dalla coppia Slavc-Giulietta, 8 agosto 2014, Lessinia veronese (Paolo Parricelli/Parco naturale regionale della Lessinia]

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