Conte ottiene fiducia Senato con 171 sì

Si presenta come il garante del contratto di governo, rivendica il tratto positivo del termine «populismo», apre a quanti vorranno aderire al programma di governo. Poi snocciola placido i punti salienti del programma, dalla legittima difesa alla lotta alla corruzione, dai dubbi sulle sanzioni alla Russia all'immigrazione. Rassicurando sull'euro e annunciando la sintesi della rivoluzione fiscale giallo-verde: una flat tax progressiva grazie ad un sistema di deduzioni che la renderanno per questo aderente al dettame costituzionale. E con una sola parola d'ordine: «Cambiamento».

Giuseppe Conte incassa la fiducia al Senato con 171 sì, 117 no (quelli di Pd e Forza Italia) e 25 astenuti, tra cui quelli di Fdi e dei senatori a vita (i tre presenti, mentre Napolitano Rubbia e Piano erano assenti).

Si presenta a palazzo Madama per chiedere i voti non solo «a favore di una squadra di governo ma di un progetto per il cambiamento dell'Italia, formalizzato sotto forma di contratto» dice nel suo discorso programmatico dove promette di voler svolgere l'incarico «con umiltà» ma anche con «determinazione» e, dice, «consapevolezza dei miei limiti ma anche con la passione e l'abnegazione di chi comprende il peso delle altissime responsabilità a me affidate». Compresa la difesa di un esecutivo da molti salutato come populista: «Ci prendiamo la responsabilità di affermare che ci sono politiche vantaggiose o svantaggiose per i cittadini. Le forze politiche che sostengono la maggioranza di governo sono state accusate di essere populiste e antisistema. Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo».

Nella «nuvola» delle parole più citate nel suo discorso i termini reiterati sono quelli di «governo», «cittadini» e «Paese». Sono totem che non sembrano bastare ad uno dei due «soci» del contratto che non perde tempo per dare la sua versione del contratto che prenderà il via una volta che il governo avrà il via libera. E i toni non sono certo quelli di un'Aula che, nonostante «i toni da stadio» stigmatizzati dalla Presidente Alberti Casellati, accoglie senza tensione la pur aspra dialettica con l'opposizione. Quella che si crea tra gli ex alleati del centrodestra, quella che evoca Matteo Renzi quando chiama i 5 Stelle alla presa di responsabilità quando dice: «Voi non siete lo Stato, siete il potere, siete l'establishment. E non avete più alibi rispetto a ciò che c'è da fare. Noi non vi faremo sconti». Quella dell'ex premier Mario Monti che lancia l'allarme Troika e quella delle standing ovation liberatorie: una per sostenere il premier Conte e una rivolta alla senatrice a vita Liliana Segre che ringrazia il presidente Mattarella per «aver scelto come senatrice a vita una vecchia signora con i numeri di Auschwitz tatuati sul braccio».

Conte parla anche di autonomia: «Ci adopereremo per salvaguardare le Regioni ad autonomia speciale, del Nord e del Sud del Paese, nella convinzione che la prossimità, la sussidiarietà e la responsabilità, ove localmente concentrate, possano contribuire a migliorare la qualità di vita dei nostri cittadini».

Si vota e il governo M5s-Lega guidato dal professore pugliese, che si tiene per sé le deleghe sui servizi segreti, ottenuto la fiducia al Senato con 171 sì, 117 no e 25 astenuti, due in più di quelli che presero sia Gentiloni sia Renzi per i loro governi. Con questi numeri, il governo Conte ha dieci voti di scarto rispetto alla maggioranza assoluta del Senato, che è di 161 voti. Gentiloni ebbe dal Senato 169 voti favorevoli, come anche Renzi. Il governo con il minor numero di voti al Senato fu quello di Romano Prodi nel 2006: appena 165 sì.

Matteo Salvini, invece, non intende far scendere la temperatura neppure per la «grande occasione» della fiducia. Mentre i senatori stanno ancora svolgendo le dichiarazioni di voto, il leader del Carroccio chiama i giornalisti e rintuzza sui migranti con parole che hanno già suscitato indignazione: «Confermo che è strafinita la pacchia per chi ha mangiato per anni, alle spalle del prossimo, troppo abbondantemente: ci sono 170mila presunti profughi che stanno in albergo a guardare al tv» dice e sminuisce l'allarme lanciato dalla Segre definendo «infondato» il suo timore di leggi speciali contro Rom e Sinti.

Poi chiarisce misure che Conte aveva volutamente solo accennato: «Non siamo stati eletti per aumentare tasse, accise ed Iva: l'Iva, statene certi, non aumenterà».


RENZI VA ALL'ATTACCO

Giuseppe Conte non li nomina mai per nome nel suo discorso programmatico al Senato, ma i partiti che lo sostengono esordiscono da maggioranza a Palazzo Madama, tra manifestazioni di compattezza in Aula e capannelli separati fuori. Non sarà «l'amore irresistibile, ma innaturale», come lo definisce Adolfo Urso di Fratelli d'Italia, però il contratto di governo ha coagulato nella camera alta un fronte «populista» senza precedenti. E l'aggettivo è rivendicato dallo stesso premier, seppure nell'accezione dostoevskiana di vicinanza ai bisogni del popolo.
I due vicepremier e uomini forti, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, seguono il discorso del professore Conte seduti al suo fianco. Quanto alla maggioranza, l'ordine di scuderia per i senatori di M5s e Lega sembra essere parlare poco e minimizzare eventuali dissensi. Ieri era il giorno dell'unità. Parecchi leghisti, compreso Salvini, hanno la spilletta di Alberto Da Giussano al bavero, non pochi la cravatta verde. I pentastellati enfatizzano il cammino fatto partendo dai meet-up. Tutti enfatizzano il giorno storico: le due forze «antisistema» che da oggi sono insieme al potere. Dario Fo cosa penserebbe dell'abbraccio con la Lega? «È di cattivo gusto e cinico tirarlo in ballo», risponde il ministro Alfonso Bonafede a chi lo interpella.
Uno dei protagonisti della giornata è stato senza dubbio Matteo Renzi, che ha debuttato da senatore. «Voi non siete il bipolarismo, siete una coalizione: Di Maio e Salvini, facce della stessa medaglia. Non siete "lo Stato": siete il potere, siete l'establishment. E noi siamo l'alternativa».
L'ex presidente del Consiglio per un giorno, di rientro dalla missione in Cina e in partenza per gli Usa per commemorare Bob Kennedy, si riprende la scena, alla testa del fronte del «No» al governo giallo-verde. «Tocca a voi, non avete più alibi: noi non faremo sconti», dice guardando dritto verso i banchi del governo dove ora siede Giuseppe Conte. Il primo atto, annuncia, sarà portare al Copasir il ministro della Difesa Elisabetta Trenta perché chiarisca se ha conflitti d'interesse.
Capo delle opposizioni?, gli chiedono mentre solca il transatlantico. E Renzi non risponde. Nel Pd c'è chi storce il naso per il suo ritrovato protagonismo: «Mentre il reggente Martina tiene al Nazareno una giornata di studio sull'opposizione a destre e populismi, Renzi parla per il Pd. Nei capannelli fuori dall'Aula, il senatore di Firenze si mostra consapevole che ripartire per i dem non sarà facile: «Conte è uno che alla gente può piacere, ha uno stile suo, diverso da Salvini e Di Maio», dice. «Rocco Casalino ha fatto un capolavoro. Noi abbiamo fatto le cose, loro le raccontano. Il reddito d'inclusione sarà reddito di cittadinanza, la flat tax per le imprese è la nostra Iri, che è pronta anche se Gentiloni ha rinviato di un anno, sui migranti hanno la linea di Minniti». Renzi attacca sul contratto di governo: «È scritto con l'inchiostro simpatico ed è garantito da un assegno a vuoto». Sfida Salvini sui toni «incendiari» che non si addicono a un ministro, Di Maio, per aver detto che "lo Stato siamo noi". E definisce Conte «collega non eletto»: «Quello che chiamavano inciucio oggi è contratto. Avete cambiato il vocabolario».
Deluso dall'intervento del nuovo premier è Brunetta, che parla di «discorso sgangherato, banale, spesso ridicolo. Senza capo né coda, senza un'idea di Paese, senza cultura. Solo tanta rabbia, tanta invidia sociale, tanto giustizialismo, tanto anticapitalismo. Senza un numero, senza una priorità, senza coerenza. Solo contraddizioni».
Duro anche il leader di Liberi e Uguali Pietro Grasso: «Movimento 5 Stelle e Lega hanno disegnato un'idea di Paese che ci vedrà - qui in Parlamento e fuori - convintamente all'opposizione. Avete iniziato male.
Malissimo. Non accetteremo l'idea che in quest'Aula ciascuno di noi possa risparmiare decine di migliaia di euro con la Flat Tax - perché la tassa piatta è un favore solo ai ricchi - con la conseguenza di dover tagliare i fondi per la sanità e l'istruzione pubblica».

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