De Laurentis contro tutti: «Serve uno tsunami»

Più che una scossa, uno tsunami vero e proprio. Ecco di cosa avrebbe bisogno il Trentino (e i trentini...) per ripartire

di Renzo Moser

Più che una scossa, uno tsunami vero e proprio. Ecco di cosa avrebbe bisogno il Trentino (e i trentini...) per ripartire. Non è mai stato troppo diplomatico, il presidente degli Artigiani Roberto De Laurentis, e nell’editoriale che accompagna l’ultimo numero della rivista dell’associazione, non si smentisce. Ne ha per tutti: per i politici, prima di tutto, ma anche per gli imprenditori (soprattutto le grandi imprese...), per i sindacati e per gli stessi trentini.

Tanto che per invocare una sorta di ribaltone politico, ma anche imprenditoriale, in un Trentino ingessato e tenuto per troppo tempo con il «sedere nel burro» (citazione della nonna Laura, ndr), il leader degli artigiani parte da lontano, da quel 26 dicembre 2004, quando un violento terremoto, e il successivo tsunami, seminò «distruzione, morte e silenzio». Ma da lì quei paesi duramente colpiti, ripartirono, ricorda De Laurentis.

Reagire e ripartire: cosa che il Trentino sembra incapace di fare, affossato da una crisi che si pensava lontana, grazie al «tanto denaro nelle mani di una politica provinciale onnipresente e onnipotente, invasiva e pervasiva», che «ha finito per congelare il Trentino dentro una situazione irreale».

Abbiamo scoperto improvvisamente, tuona De Laurentis, che «i giovani non trovano più lavoro, mentre i meno giovani lo perdono»; che «troppe persone sono sono parcheggiate dentro ammortizzatori sociali sempre più costosi per la collettività, peraltro alimentati più dalla piccola impresa di territorio che dalla medio/grande, talvolta presente in Trentino solo per il “contributo a fondo perduto”, pronta a delocalizzare con l’alibi di internazionalizzare». È un Trentino, insiste il presidente degli artigiani, dove «qualcuno si illude di creare economia a colpi di Mart e Muse», dove «il Pil precipita», dove «non è necessario l’intervento di Roma per cancellare l’autonomia se questa vive di quel 90% prodotto dalle imprese e destinato a rimanere sul territorio». Tanto da far venire il dubbio che a mancare non siano i soldi, ma le idee.     

«Sto pensando a uno tsunami - conclude De Laurentis - che spazzi via le abitudini. A partire da una comunità che sceglie la classe politica mai per capacità ma sempre per appartenenza. Per continuare con una classe imprenditoriale che, in ogni iniziativa, ricorre prima a mamma Provincia e poi, da ultimo, mette in gioco le risorse personali. Per finire alle diverse categorie economiche che, a parole, si riempiono la bocca di “sistema” e e sottoscrivono inderogabili “accordi trasversali”, ma che, nei fatti, curano esclusivamente il loro orticello».

I trentini, accusa De Laurentis, sembrano aver dimenticato parole come rischio, sudore, fatica. Ecco perché, conclude, serve uno tsunami per tornare «a immaginare, a vivere, a costruire».

Chi, o che cosa, possa e debba provocare questo tsunami, però, non è dato saperlo.

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