Pacchi bomba negli Usa: nel mirino anche De Niro

Su Twitter impazza l’hashtag #MAGABomber, con riferimento allo slogan «Make America Great Again» coniato da Donald Trump. E anche gli ultimi della serie di pacchi bomba che tiene in ansia l’America sono indirizzati a chi non ha mai risparmiato critiche al tycoon: la star di Hollywood Robert De Niro e l’ex vicepresidente Usa Joe Biden, che vanno ad allungare una lista dove già compaiono i nomi di Hillary Clinton, Barack Obama, George Soros, Eric Holder, la deputata Maxime Waters e l’ex capo della Cia e commentatore della Cnn John Brennan.

Con i due inviati a Joe Biden, gli ultimi in ordine di tempo scoperti in un centro di smistamento della posta in Delaware, sale a dieci il numero complessivo dei plichi esplosivi ritrovati. L’ottavo è stato quello che ha causato un’altra mattinata di caos a Manhattan, spedito all’indirizzo di Tribeca dove si trovano la società di produzione di De Niro, la TriBeCa Production, e il ristorante di cui l’attore è proprietario, il Tribeca Grill.

Ma di pacchi sospetti ce ne potrebbero essere ancora altri in giro, avverte l’Fbi, mentre in tutto il Paese, a meno di due settimane dal voto per le elezioni di midterm, la psicosi terrorismo cresce.
La caccia all’Unabomber è aperta, anche se non è ancora chiaro agli investigatori se dietro a tutto quello che sta accadendo ci sia una sola persona o ci siano più persone. Ancora da stabilire poi se i congegni spediti siano realmente in grado di esplodere.

Quello che appare ormai certo è che tutte le personalità nel mirino sono state negli anni costantemente nel mirino di quei gruppi dell’estrema destra che spesso sposano le tesi del presidente americano.

Non a caso Donald Trump è costretto a difendersi, accusato dai suoi detrattori di alimentare odio e violenza con la sua retorica incendiaria: «È vergognoso accusare il presidente» per i pacchi bomba, ha reagito la portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders. Intanto dal tycoon arrivano segnali contrastanti. E mentre nelle dichiarazioni ufficiali parla di «attacco alla democrazia» e della necessità di «unificare il Paese», nei comizi e su Twitter continua ad usare parole di fuoco contro gli avversari politici e contro i media, accusati di generare rabbia con le loro fake news. Mentre nell’ultimo bagno di folla in Wisconsin i sostenitori del tycoon continuavano a urlare «Lock her up!», arrestatela, riferendosi a Hillary Clinton. Clinton a cui da Trump non sarebbe arrivata ancora alcuna telefonata di solidarietà, così come non sarebbe arrivata all’ex presidente Obama.

Sui social si infittisce però anche la schiera di chi vuole accreditare la teoria della «falsa bandiera», secondo cui dietro l’ondata di pacchi bomba ci sarebbero in realtà ambienti della sinistra, magari gli stessi che vengono accusati di essere dietro alla carovana di migranti che minaccia di arrivare al confine col Messico. Quella per fermare la quale Trump vuole inviare altri 800 militari.

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