Lo sport Usa sfida Trump «Ora licenziateci tutti»

«E ora licenziateci tutti». La protesta del football americano contro gli strali di Donald Trump sta assumendo dimensioni senza precedenti, dilagando nel basket, nel baseball, nel mondo dello spettacolo. E addirittura travalicando i confini nazionali, con non poco imbarazzo per la Casa Bianca. E lo scontro oramai assume sempre più i contorni dell’ennesima polemica razziale.

I giocatori dei Jacksonville Jaguars e dei Baltimore Ravens - due team della lega professionistica di football - hanno scelto come teatro il mitico stadio londinese di Wembley per mettere in scena la loro denuncia: tutti in ginocchio, l’uno abbracciato all’altro, in segno di sfida al presidente. Non solo gli atleti ma anche i membri dello staff delle due squadre, gli allenatori, i delegati, i massaggiatori. E al loro fianco anche i proprietari dei club in segno di solidarietà. Poi via via la stessa scena su tutti gli altri campi in cui si è giocata la giornata di campionato.
Insomma, una vera e propria rivolta appoggiata dalla Lega.

Una bufera che sta investendo il presidente americano e che rischia di renderlo ancor più impopolare di quanto già indichino gli ultimi sondaggi: mai da oltre 60 anni - dalla presidenza di Harry Truman - un inquilino della Casa Bianca dopo otto mesi ha avuto un rating così basso, appena il 39%.

Ma il tycoon ancora una vota non sembra intenzionato a moderare i toni. Con un nuovo tweet ha chiesto di boicottare le partite e ancora una volta di cacciare via dai campi di football e di licenziare i giocatori che per protesta si inginocchiano e non cantano l’inno.  Il primo fu il quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick, poco più di un anno fa, per denunciare la violenza della polizia verso gli afroamericani ed esprimere solidarietà al movimento ‘Black Lives Matter’. Da allora la campagna #takeaknee, inginocchiamoci, ha fatto molti proseliti, e non solo nel mondo del football.

Lo sdegno per la parole di Trump è irrefrenabile, soprattutto sui social. La star della Nba LeBron James (che aveva definito Trump «uno straccione» per aver attaccato l’altra stella della Nba Stephen Curry) è tornato alla carica accusando il presidente di «usare lo sport per dividere ancor di più gli americani». E Bruce Maxwell è diventato il primo giocatore dello sport più popolare d’America, il baseball, a inginocchiarsi durante l’inno in segno di solidarietà verso i colleghi colpiti dagli attacchi del presidente.

I massimi dirigenti delle leghe professionistiche di football, baseball e basket si sono schierati in massa con gli atleti e con il loro diritto di protestare e di esercitare la libertà di espressione. «Lo possono fare ma fuori dal campo da gioco», ha replicato il ministro del Tesoro di Trump Steve Mnuchin guadagnandosi una buona dose di insulti sui social.

Ma cominciano a farsi sentire anche gli sponsor, con Under Armour - il colosso dell’abbigliamento sportivo che ha come uomo immagine Curry e che in passato ha avuto come testimonial anche Muhammad Alì - che si è schierata con la protesta.

Intanto a New York, durante un concerto al Central Park, la leggenda della musica soul Stevie Wonder, nonostante il precario equilibrio dovuto all’età, si è inginocchiato davanti al pubblico, aiutato dal figlio: «Lo faccio per l’America».

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