Profughi da ricollocare La Corte Ue conferma

Il drastico calo degli arrivi dei migranti dalla Libia all'Italia ad agosto - meno 81% rispetto allo stesso mese del 2016 - e la sentenza della Corte di giustizia europea, che rigettando il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro i ricollocamenti da Italia e Grecia, riafferma in pieno il principio di solidarietà europea nella gestione dei profughi e fanno tirare un sospiro di sollievo a Bruxelles e a Roma.

Ma c'è poco di cui stare tranquilli: dalle cancellerie di Budapest, Varsavia e Praga arrivano già nuove dichiarazioni di «guerra». L'unica capitale dei Visegrad a fare eccezione è Bratislava, che seppur critica, rispetterà la sentenza.
«La Corte di Giustizia Ue ha affermato che esiste un dovere e un vincolo di solidarietà. Non è un principio italiano o greco ma europeo», commenta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre il ministro degli Esteri Angelino Alfano, nel rilevare: «la Corte di Giustizia ci dà ragione», sollecita «il superamento delle vecchie regole di Dublino». In effetti, non ci sono più alibi o ambiguità.

Gli Stati Ue dovranno partecipare alle relocation, e il dato politico cruciale, è che la sentenza della Corte Ue rafforza legalmente il sistema di quote di ridistribuzione obbligatorie, nei casi di emergenza, come strumento per far fronte alle situazioni di crisi. Il meccanismo è al centro del negoziato sulla proposta per riformare il regolamento di Dublino, finito nelle secche ormai da mesi, proprio per la netta opposizione dei Visegrad.

«Bisogna andare avanti con le relocation e le procedure d'infrazione» avviate, «contro chi non rispetta la decisione», incita il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Se non ci sarà ravvedimento, i governi «ribelli» non eviteranno «il deferimento alla Corte di giustizia», avverte il commissario Ue alla migrazione Dimitris Avramopoulos.

Ma Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca sembrano ben lontane dal voler abbassare la testa. Il ministro degli Esteri ungherese Pèter Szijjarto definisce la decisione della Corte Ue «oltraggiosa e irresponsabile. È politica, non giuridica, e minaccia il futuro e la sicurezza dell'Europa». La premier polacca Beata Szydlo fa sapere che «non cambia la posizione del governo sulle politiche di immigrazione». Mentre il presidente ceco Milos Zeman è dell'opinione che la Repubblica ceca non debba piegarsi: meglio rinunciare ai finanziamenti europei, che sottoporsi al meccanismo delle quote di migranti.

Unica voce fuori dal coro è la Slovacchia. Il capo della diplomazia di Bratislava ha fatto sapere che la cancelleria si adeguerà, anche se resta convinta che le quote non funzionano.
«Chi non accetta di ricollocare calpesta i principi costituenti del progetto europeo», sottolinea il sottosegretario alle Politiche Ue Sandro Gozi, facendo presente che l'Italia continuerà a chiedere la chiusura dei rubinetti dei fondi strutturali per «i Paesi che si chiamano fuori». «Non si può essere europeisti quando si va all'incasso e nazionalisti quando si dovrebbe offrire solidarietà».

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