Piazza del Duomo gremita per l'addio a Fo

È stato il figlio di Dario Fo, Jacopo a cercare di trasmettere alle migliaia di persone, arrivate in piazza Duomo per l’ultimo saluto, il ricordo più intimo e vero del padre: ne è uscito una sorta di ‘testamentò ideale dell’artista scomparso, il senso delle sue lotte.

Di fronte alla folla, dal palco allestito sul sagrato del Duomo, l’unico figlio di Dario Fo e Franca Rame ha parlato dei suoi genitori, con voce rotta dall’emozione, come di persone che «non hanno mai piegato la testa, nonostante quello che hanno fatto loro». Nonostante gli attacchi e le censure ricevuti in tanti anni di carriera, l’artista e la moglie Franca, con cui formava una coppia sia nella vita sia sul palcoscenico, non si sono mai arresi al potere. Anzi «chi li ha colpiti ha perso perchè hanno fatto una vita straordinaria, ricevendo tanto amore».

Dario Fo ha preso in giro il potere nella sua vita, lo ha criticato, lo ha colpito con l’arma dell’ironia, con una battuta, una risata e per questo lo ha espugnato. Proprio come fece il popolo di Bologna nel 1300, ha ricordato Jacopo citando una storia che raccontava il padre, che espugnò la cittadella dove si erano barricati nobili e clero con un inedito ed efficace lancio di «merda». «Può succedere infatti - ha spiegato - che la gente senza potere, che non ha nulla da perdere, il potere possa prenderlo».

L’amore della gente per il padre Jacopo lo ha sentito dagli amici, dalla famiglia, dai conoscenti ma soprattutto dalle persone che in questi due giorni hanno voluto portare l’ultimo saluto all’artista, alla camera ardente allestita al Piccolo teatro Strehler di Milano. «Ho salutato tante persone - ha ricordato - tutte quelle che venivano fino a quando ce l’ho fatta».

A rendere omaggio a Dario sono arrivati operai, persone che avevano perso il lavoro, tanti cittadini che hanno detto: «Tuo padre ha fatto questo per me. Erano persone che avevano bisogno di essere ascoltate e lui era capace di stare ore ad ascoltare chi vedeva il nero del mondo». Del resto la gente amava Dario Fo e Franca Rame «non perchè erano degli artisti e per la loro capacità istrionica - ha ricordato - ma perchè in scena mettevano la loro vita, o la vita delle persone con cui avevano parlato.

Il pubblico ha visto qualcuno che c’era veramente e non semplici attori». Sul sagrato del Duomo di Milano, la cattedrale della città, Jacopo Fo ha ricordato anche la fede politica del padre e il suo ateismo: «Noi siamo comunisti e atei però mio padre non ha mai smesso di parlare con mia madre e chiederle consiglio. Siamo anche un pò animisti perchè non è possibile morire veramente, si fa per dire... Sono sicuro che adesso sono insieme e si fanno delle gran risate».

Jacopo Fo ha concluso il suo intervento in ricordo del padre con un pugno chiuso e poi rivolto verso la folla ha detto, «grazie compagni, grazie».


 

Il funerale di Dario Fo è un film che ripercorre in poche ore la storia del nostro Paese, dal dopoguerra al 15 ottobre del 2016.

Al Teatro Strehler, dove era stata allestita la camera ardente e in piazza Duomo poi, nella quale migliaia di persone hanno partecipato al funerale laico dell’attore, pittore e premio Nobel per la letteratura, sono state le persone - con la sola loro presenza - a ripercorrere la storia di Fo e di sua moglie, Franca Rame. Una storia che, pur con tutte le polemiche che hanno costellato la vita della coppia, rappresenta una parte di quella d’Italia.

È sembrata una fotografia in bianco e nero la presenza del fondatore di Potere Operaio, Oreste Scalzone, con l’immancabile montgomery e la sigaretta in bocca: «Vidi Dario per l’ultima volta al funerale di Franca e mi venne dal cuore fischiettare l’Internazionale». È sembrata una fotografia in bianco e nero anche lo striscione esposto durante i funerali da Soccorso rosso, l’organizzazione che i due attori sostennero durante gli anni del terrorismo e accusata di essere border line con il Partito armato, tanto che costò attacchi mai sopiti a Fo e Rame.
Era in bianco e nero anche il pensionato che in via Brera lavorava «nell’impiantistica» ma era amico di attori, pittori e fotografi che frequentavano il bar Jamaica: «Io, col mio lavoro, non c’entravo niente ma passavamo serate a fumare, a chiacchierare. C’erano anche le modelle che lavoravano per i pittori».

Il film diventa, però, improvvisamente a colori quando arrivano Stefano Benni, Paola Cortellesi, Paolo Rossi, Roberto Vecchioni, Roberto Saviano e i sindaci di Roma e Torino Virginia Raggi e Chiara Appendino del Movimento 5 Stelle, l’ultimo approdo politico di Fo. «Era una persona entusiasta della vita e questa è la sua eredità», ha detto la Raggi. A colori anche lo striscione-tributo del Centro sociale ‘Il Cantierè: «Io non sono un moderato. Ciao Dario. I colori sono anche quelli della Banda degli Ottoni a scoppio, che ha curato la colonna sonora dell’ultimo spettacolo messo in scena dal giullare che vinse il Nobel: Bella Ciao, Rosamunda, Otto e mezzo.

Sul palco, a ricordarlo, in piazza Duomo, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala il quale ritiene che Fo abbia ricevuto meno da quanto ha dato alla città e che pensa ad intitolargli la Palazzina Liberty, palcoscenico delle scorribande teatrali della coppia Fo-Rame nel periodo della contestazione, il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina e il leader dei Cinque Stelle, Beppe Grillo, a lungo abbracciato con Jacopo, figlio di Fo e Franca Rame, che dirà: «In tutto quello che ha creato, Dio ha creato anche i commedianti, per divertirsi un po'...».

I colori esplodono con Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e grande amico di Fo: «In questa giornata che celebriamo è meglio essere generosi che avari. Noi stapperemo le bottiglie, canteremo, balleremo, faremo l’amore, ritroveremo la gioia straordinaria di chiamarci compagni e compagne non solo perchè condividiamo il pane, ma anche la gioia, la fraternità e questo nostro amore reciproco, senza cattiverie«, ha detto durante l’orazione funebre: »Celebriamo il più grande tra di noi, che aveva la capacità di dileggiare i potenti con uno sberleffo.

Allegri bisogna stare perchè troppo piangere non rende onore ai nostri amici e perchè celebriamo la vita».

Il bianco e nero, che commuove le migliaia di persone in piazza, torna con Jacopo Fo, figlio di Dario e Franca Rame, il quale ricorda come suo padre e suo madre «non hanno mai piegato la testa, nonostante ciò che è stato loro fatto». E conclude a pugno chiuso: «Grazie compagni, grazie».

L’ultimo spettacolo di Dario Fo, irriducibile ateo ma con il dubbio di Dio, si conclude così, sul sagrato del Duomo (il luogo era stato origine di qualche distinguo da parte delle autorità ecclesiastiche milanesi che si augurano che cerimonie come queste siano da ritenersi «eccezionali»). Poi il riposo, nel Famedio del cimitero Monumentale, dove sono sepolti coloro che hanno contribuito a rendere grande Milano. Vicino a sè avrà la moglie Franca, il registra Franco Pareti ed Enzo Jannacci.

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