Libia, rientrati in Italia i tecnici liberati

Un abbraccio caloroso. Non hanno contenuto la gioia i familiari di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno questa mattina all'aeroporto militare di Ciampino. I due tecnici italiani sono giunti allo scalo romano alle ore 5, dopo essere partiti verso le 3:30 dall'aeroporto di Mitiga a Tripoli, a bordo di un'aereo speciale. Ad accoglierli sulla pista il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che si è intrattenuto alcuni istanti con loro e li ha abbracciati, ed il generale Giuseppe Governale comandante dei Ros. Poi l'intenso abbraccio con i familiari: la moglie di Pollicardo, Ema Orellana, e i figli Gino junior e Jasmine; emozionatissimi anche Maria Concetta Arena, moglie di Calcagno, giunta a Ciampino insieme a i figli Cristina e Gianluca. Sbarbati, stanchi e visibilmente provati, i due tecnici hanno a stento trattenuto le lacrime. Secondo la prassi, Pollicardo e Calcagno dovrebbero incontrare nelle prossime ore il pm Sergio Colaiocco. Molti ancora i punti oscuri di tutta la vicenda - che ha subito una drammatica accelerazione negli ultimi giorni dopo mesi di silenzio -, a partire dall'identità dei rapitori, dalle modalità della liberazione, fino alla morte dei loro colleghi rimasti uccisi Salvatore Failla e Fausto Piano. Non è ancora chiaro quando le loro salme rientreranno in Italia, al momento ancora in Libia, presumibilmente a Sabrata.

E monta la rabbia dei familiari di chi non ce l'ha fatta. Come Rosalba Failla, moglie di Salvatore, che ha detto senza mezzi termini: "lo Stato italiano ha fallito, la liberazione dei due ostaggi è stata pagata con il sangue di mio marito". Mentre il presidente della Bonatti Paolo Ghirelli ha ammesso che "l'obiettivo è stato raggiunto soltanto a metà". Una volta rientrati, Pollicardo e Calcagno saranno ascoltati dalla procura di Roma per fare luce sui numerosi punti oscuri della vicenda. Al momento, infatti, non c'è certezza sulla dinamica che ha portato al loro rilascio e alla morte dei colleghi: blitz o fuga, esecuzione o fuoco 'amico'. E soprattutto, chi li ha tenuti prigionieri per così tanto tempo: criminali comuni, milizie locali o gruppi jihadisti.

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