Italia, cresce la diseguaglianza I ricchi sono sempre più ricchi

In Italia, le diseguaglianze economiche e sociali si sono fatte più marcate con la crisi, soprattutto perché la fascia più povera della società ha visto i suoi patrimoni e il reddito ridursi ancora, mentre viceversa per i più ricchi la recessione è stata una fase sostanzialmente positiva.

Nel nostro Paese, rileva un rapporto Ocse, la ricchezza nazionale netta è molto concentrata nella parte alta della graduatoria di reddito, con l’1% più ricco che da solo ne detiene il 14,3%, tre volte di più di quanto ne detiene il 40% più povero (4,9%). Un gap che negli anni della crisi si è allargato, perché la perdita di reddito disponibile per le fasce più svantaggiate della popolazione è stata quattro volte più intensa di quella registrata dalle fasce più elevate (-4% per il 10% più povero, -1% per il 10% più ricco).

Questo divario si spiega in parte con l’aumento della diffusione dei posti di lavoro non standard (lavoro autonomo, tempo determinato, part time), e con la netta inferiorità dei guadagni che questi offrono. Una tendenza che, sottolineano dall’Ocse, è legata a «problemi strutturali sviluppatisi ben prima della crisi», e che questa ha contribuito ad aggravare.

Inoltre, il 10% più povero della popolazione in Italia ha accusato un calo del reddito del 4% l’anno tra il 2007 e il 2011, mentre il reddito medio è calato del 2% e quello del 10% più ricco solo dell’1%.

In fatto di divario di reddito nella popolazione, i dati Italiani, stando agli indicatori Ocse, collocano il Paese al vertice in Europa per quanto riguarda la distanza fra la fgascia dei superpagati e quella più bassa. Solo la Grecia presenta diseguaglianze maggiori tra la fascia di chi guadagna di più e quella dei meno retribuiti. In questa specifica graduatoria, rispetto alla Germania, l’Italia presenta una disparità quasi doppia.

In linea generale, dai lati emerge che il 10% più ricco nell’area Ocse presente un reddito 9,6 volte maggiore rispetto al 10% più povero (una forbice che si allarga: era pari a 7,1 volte negli anni Ottanta e 9,1 volte negli anni Duemila).

L’aumento del tasso di occupazione tra il 1995 e il 2007, del 26,4%, è infatti in gran parte rappresentato da posti di lavoro atipico (23,8), e solo in minima parte da posti fissi (2,6).

Inoltre, sottolinea il direttore della sezione Lavoro dell’Ocse, Stefano Scarpetta, a margine della presentazione del rapporto, «in Italia i contratti temporanei sono più precari che in molti altri Paesi», e garantiscono una remunerazione «molto inferiore» rispetto al tempo indeterminato. Se si fissa a 100 il guadagno medio del lavoratore con posto fisso, quello del lavoratore atipico si ferma a 57, con grosse disparità tra le varie categorie (72 per un autonomo, 55 per un contratto a termine full time, 33 per un un contratto a termine part time).

Il tasso di povertà è inoltre ben più elevato tra le famiglie di lavoratori atipici, al 26,6%, contro il 5,4% per quelle di chi ha un posto fisso. In generale, in Italia la povertà è aumentata in modo «molto marcato» durante la crisi, con un passo avanti di 3 punti tra 2007 e 2011, il quinto più ampio nell’area Ocse.

L’Italia resta però virtuosa sul piano dell’indebitamento privato: la percentuale di famiglie indebitate è la più bassa tra i Paesi Ocse, il 25,2%, e l’incidenza del sovra-indebitamento rimane ridotta, con solo il 2,3% delle famiglie con un rapporto debito-asset superiore al 75% e solo il 2,8% con un rapporto debito-introiti superiore a 3.

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