No alle telecamere che ci controllano ovunque

No alle telecamere che ci controllano ovunque

Caro direttore, sto leggendo il confronto fra lei e la signora Mariani. E volevo dirle che io, comunque, non manderei mai i miei figli in un asilo o in una scuola in cui sono installate telecamere in ogni angolo. Li priverei non solo della loro stessa privacy riducendoli a scimmiette allo zoo, ma anche di una relazione unica con un adulto di riferimento differente dal genitore e ridurrei il lavoro di insegnanti e pedagoghi a meccanismo, da supervisionare come la filiera produttiva in fabbrica.

Che insegnamento orribile! C’è una genitorialità sociale, c’è il modo di esercitare civilmente in ogni ambiente un ragionevole “controllo”. Con l’interazione, l’accompagnamento, l’eventuale supervisione e il confronto. Non con la logica del Socing. Che, peraltro, allora dovremmo estendere ovunque: agli psicologi, no? E che dire dei medici o degli assistenti sociali? Una bella telecamera in ogni studio, olé. In ogni camera d’ospedale. Già che ci siamo, in ogni casa. In ogni anfratto. In ogni testa. Telecameriamoci e chippiamoci tutti, così siamo pronti per la Guerra dei Cloni, come in StarWars.

Alessandra


 

I controlli non si possono affidare alle telecamere

La vita è strana: mentre ricevevo la sua lettera, che in fondo solleva questioni analoghe a quelle di cui ho parlato io nelle puntate precedenti, una persona - perfettamente in linea con la signora Mariani - mi diceva che dovrei andare più spesso in una casa di riposo, dove ci sono persone deliziose ma anche persone cattive. E quando si segnala un fatto alla direzione - ha aggiunto - la persona cattiva viene quasi sempre semplicemente spostata in un altro modo e continua a creare problemi. Al massimo, ti senti rispondere che quella persona la devi capire, perché ha ben altri problemi ed è inutile rispondere che siete tu e il tuo caro ad avere ben altri problemi e che per quello siete lì, in una struttura per anziani.

La verità è che in un certo senso avete ragione tutti e che io non voglio certo aver ragione: voglio aprire dibattiti, suggerire spunti, utilizzare questa pagina - che sta piacendo molto, anche se ovviamente c’è chi non gradisce e chi non condivide - proprio per questo. Per ascoltare i lettori, per sollecitare la politica o chi di dovere a muoversi (rispetto a una serie di temi) e per aiutare tutti a pensare e magari anche ad immaginare che non ci sia mai una sola verità.

Chi ha vissuto esperienze drammatiche (o chi teme di viverle) giustamente chiede più controlli. Io dico semplicemente che i controlli non si possono - non sempre, almeno - affidare alle telecamere. C’è chi i controlli li deve fare, anche a sorpresa, c’è chi in certe strutture, probabilmente, non ha bisogno di telecamere per sapere chi si comporta bene e chi si comporta malissimo. In tal senso, le telecamere possono servire in un secondo momento, per “certificare” un sospetto.

Non so se oggi si chiuderà questo dibattito, ma mi sento di fare un appello conclusivo: a chi gestisce le strutture, perché vigili in altro modo; a chi subisce angherie, perché denunci tutto (non solo a chi dirige la struttura in questione, ma anche alle forze dell’ordine); a chi lavora nelle case di riposo, affinché le tante mele deliziose non finiscano per essere accomunate alle (poche, ma devastanti) mele marce. E qui aggiungo che chi lavora in certi contesti conosce bene i colleghi.

a.faustini@ladige.it

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