Meno auto per tutti: un programma necessario

Meno auto per tutti: un programma necessario

Egregio direttore, credo che sia venuto il momento di dirlo, senza troppi giri di parole: che sia per un incidente serio, per un'avaria, per una gomma a terra o per il rientro dalla gita fuori porta, dobbiamo ammettere che Trento non regge più il traffico che la riguarda, sia quello diretto in città che quello "tangente" ad essa, con le ovvie e gravi ripercussioni su tutta la viabilità interna ed esterna al capoluogo. I poderosi interventi fatti sulla rete viaria anni fa (ad esempio le gallerie di Martignano) oggi si rivelano insufficienti. Quindi la domanda è: possiamo, vogliamo, dobbiamo andare avanti così?

Una parziale soluzione esiste, ma presuppone coraggio, lungimiranza e intelligenza, non solo da parte delle istituzioni, ma da parte di tutti i trentini, soprattutto i pendolari. Vanno ridotte le auto che gravitano sul capoluogo. Parliamo di decine di migliaia di veicoli che ogni giorno entrano o passano da Trento (qualche anno fa si parlava di 140mila ingressi ogni giorno), la stragrande maggioranza delle quali porta un solo passeggero, il conducente.
Nonostante la nostra provincia abbia ben tre tratte ferroviarie e un servizio extraurbano più che discreto, oggi infatti oltre il 72% delle persone occupate sopra i 15 anni che si reca al lavoro lo fa in qualità di conducente di un mezzo privato mentre nemmeno il 10% utilizza un mezzo pubblico (Fonte Annuario Statistico Ispat 2001-2017).

Per il cambiamento però, serve una "innovazione culturale", a partire da un obiettivo chiaro e partecipato. "Meno auto per tutti" potrebbe essere lo slogan dei prossimi 15 anni: un obiettivo possibile, preferibile, plausibile, fatto di passi piccoli e grandi (e qualche limitazione) ma che vanno solo in una direzione: la riduzione del traffico. Alcune azioni e interventi si possono attivare rapidamente e senza grandi spese (vedi tariffe trasporti, frequenza corse, migliore intermodalità, divieti), altri necessiteranno di progetti e investimenti importanti (vedi ferrovia della Valsugana e non solo) a più lungo termine, ma se non vogliamo trasformare una città di soli 100mila abitanti in una caotica e insopportabile camera a gas bisogna cambiare modello di mobilità. Subito, e all'interno di un quadro organico e con una ottica lungimirante (ad esempio la nuova ciclabile da Trento a Pergine ha poco senso se poi sui treni il posto per le bici non c'è). Dobbiamo insomma scegliere "la strada giusta", che non potrà più essere fatta di asfalto ma di nuove abitudini, nuove possibilità, di qualche rinuncia e di visioni future. È l'unico modo per dare modo a tutti di muoversi secondo equità, sostenibilità, opportunità e vivibilità.

Roberto Calzà


 

Bisogna essere visonari

Ha ragione: dobbiamo scegliere la strada giusta. La Provincia deve tirar fuori un po' di fantasia. Deve essere visionaria. E deve anche approfittare - come mi sono permesso di scrivere domenica scorsa - delle Olimpiadi del 2026. In vista di quel grande evento si può infatti immaginare una mobilità diversa, ma si può anche pensare - faccio un esempio buttato lì a caso - di far muovere insieme le tante persone che ogni giorno (ad esempio dalla Valsugana) vanno a lavorare essenzialmente nello stesso posto (gli uffici provinciali) e in orari simili. Pullman dedicati? Treni speciali? Auto del futuro, senza guidatore ma con a bordo dipendenti che possono scendere da qualche luogo e poi risalirvi alla stessa ora? Non considererei nemmeno scandaloso che si regalassero gli abbonamenti ai dipendenti in cambio del loro impegno a lasciare per sempre a casa l'auto. La Provincia, con quel denaro, salverebbe infatti un pezzo di ambiente e alleggerirebbe non di poco il traffico.

L'esperimento è ovviamente esportabile in quasi ogni valle. Pensi a quante persone arrivano da Rovereto o dalla val di Non. Altra ipotesi: orari differenziati, magari in collaborazione anche con le scuole, per fare in modo che relativamente poche persone si mettano in strada alla stessa ora. Lei giustamente parla di innovazioni culturali ed è di questo che abbiamo bisogno. Le nuove strade non devono necessariamente essere d'asfalto; devono soprattutto essere culturali. L'innovazione passa dalle idee, non dal cemento.

a.faustini@ladige.it

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