Risarcimento per il turista morto: Sat e Parchi lanciano l'allarme «E' un precedente pericoloso»

di Zenone Sovilla

La sentenza per l’incidente mortale avvenuto nel marzo 2006 sul versante sud di cima Juribrutto è accolta con preoccupazione dal Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino, condannato a risarcire oltre un milione di euro alla famiglia del turista che camminando sulla neve, con le ciaspole, a una cinquantina di metri dal sentiero, era caduto per circa sei metri in un pozzo di una trincea della Grande Guerra.

Il direttore dell’area protetta, Vittorio Ducoli, ha rilasciato, infatti, al Gr Rai, dichiarazioni allarmanti, mentre anticipava che ora si valuterà se ricorrere in Cassazione. Secondo Ducoli, la decisione dei giudici trentini rappresenta un «precedente gravissimo» che apre molti interrogativi sul ruolo che in futuro potranno avere i gestori dei sentieri e di altri percorsi in montagna.

Che si tratti dei Parchi, del Cai Sat o di altri soggetti, osserva il direttore, lo scenario diventa sostanzialmente ingestibile, qualora si affermasse una responsabilità generalizzata, non solo per quanto attiene alla cura dei tracciati segnalati ma anche del terreno circostante. «È chiaro - ha ricordato - che in montagna i rischi e i pericoli per i frequentatori sono estremamente variegati e non tutti conoscibili. Il luogo in cui è avvenuti l’incidente è una riserva integrale e non si può uscire dai sentieri».

Ducoli sottolinea anche che quelle vestigia della Grande Guerra, che purtroppo furono teatro del tragico incidente, non erano state mai pubblicizzate. In ogni caso, la rilevanza della vicenda giudiziaria è tale che ora il Parco interpellerà la Provincia per una valutazione complessiva della materia.

Anche dalla Sat arriva un commento critico sulla sentenza: «Mi auguro che si tratti di un episodio assolutamente straordinario, altrimenti si aprirebbero problemi a non finire», dice all’Adige Franco Andreoni, presidente della commissione sentieri della Sat. «Se invece questa decisione dei giudici fosse un indicatore, ci troveremmo di fronte a una situazione inedita. Dovremmo chiudere praticamente tutto il Pasubio e molte altre aree montuose attraversate da sentieri e nei pressi di storiche installazioni belliche. Parliamo di varie decine di percorsi. Considero questa sentenza un segnale negativo, probabilmente specchio dei tempi, di un’idea di “pericolo zero” da garantire sempre e comunque. È normale che si controlli la fascia appena accanto ai sentieri, ma al di fuori dei percorsi, allontanandosi magari anche parecchie decine di metri, non si può certo pretendere che tutte le variabili siano responsabilità del gestore. Perciò spero che questa sentenza non crei un precedente».

Andreoni ricorda anche le analogie con un caso che una decina d’anni fa chiamò in causa proprio la Sat, per la morte di una turista colpita da un sasso sul sentiero per il Crozzon di Brenta in val delle Seghe.

La pietra si era staccata da una parete alta circa 400 metri e il processo doveva verificare l’esistenza o meno di una responsabilità civile a carico dell’ente gestore del sentiero. La Sat riuscì a dimostrare che un evento del genere era assolutamente incontrollabile, una tesi che fu accolta dai giudici. «Mi ricordo - racconta Andreoni - che all’epoca si arrivò a richiedere una perizia per identificare il punto esatto di distacco del sasso. Parliamo di una parete che farà quasi 3 mila metri quadri... Alla fine ci fu riconosciuta la totale estraneità rispetto a quel tragico evento. Ma anche quel caso indicò la presenza di una tendenza a cercare in modo spasmodico la sicurezza assoluta anche dove non può esserci».

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