Boscaioli, professionisti nel pericolo Tre incidenti mortali in 10 mesi

di Franco Gottardi

Un lavoro duro, quello del boscaiolo. Duro e potenzialmente pericoloso, come dimostrano i tre incidenti mortali verificatisi negli ultimi dieci mesi. «Il pericolo è molto più alto rispetto a qualsiasi altro mestiere, compresa l’agricoltura» conferma Elisa Cattani, sindacalista della Flai Cgil che si occupa in particolare della tutela dei diritti degli operai forestali. Pericolo alto per ragioni evidenti: i terreni impervi, l’instabilità metereologica, le attrezzature taglienti e l’uso di cavi e tiranti che impongono la massima attenzione.

Ma tante vittime e tanti incidenti non sono causati dalla scarsa formazione professionale. Su questo concordano sia i datori di lavoro che i rappresentanti dei lavoratori. «C’è il corso base della Provincia per il taglio e l’uso delle frese e poi corsi di aggiornamento durante la vita professionale. Sono obbligatori e tutti li fanno» spiega Paolo Sandri, presidente del settore Imprese forestali artigiane. E anche Cattani non riscontra carenze nei percorsi di preparazione dei boscaioli, al contrario rivendica i passi avanti fatti in Trentino grazie anche all’insistenza di puntare sugli investimenti e in informazione ad ogni rinnovo contrattuale.

Certo, quei tre morti in pochi mesi pesano e sono lì a segnalare un problema. «Ma non mi piace strumentalizzare la morte di una persona e so che può sembrare una frase fatta ma veramente nei boschi non sei mai sicuro al 100% anche facendo tutto come si deve» dice Cattani.

Il problema è che spesso i guai arrivano quando non si fanno le cose come si dovrebbe. A ben guardare infatti delle tre vittime una era un privato che si era messo in testa di liberare il sentiero che portava a una sua proprietà ostruito dalle piante abbattute da Vaia, il secondo era un operaio macedone impiegato in nero e solo il povero Valenti era un professionista esperto.

«Non so esattamente cosa sia successo - dice Sandri a proposito del tragico volo che è costato la vita al giovane boscaiolo di Bondo - ma credo che si sia trattato di un errore umano. Mi sembra improbabile che possa aver ceduto una corda tenendo conto della resistenza dei materiali che usiamo, che di solito hanno all’interno un cordino d’acciaio che non si taglia neanche con la motosega».

Sono attrezzate e usano materiali d’avanguardia le imprese boschive di oggi. In Trentino sono mediamente piccole come dimensioni, molte sono imprese individuali. Quelle registrate sono 250 e impiegano circa 500 addetti. Poi ci sono altri duecento operai forestali dipendenti pubblici, 155 in organico al servizio foreste e fauna della Provincia, 22 al Parco Adamello-Brenta, 12 al Parco di Paneveggio e un’altra quindicina al Parco nazionale dello Stelvio. Una squadra di settecento persone ogni giorno all’opera, oltre all’esercito di chi taglia e fa legna privatamente e ai dipendenti delle aziende agricole che in certi frangenti sono autorizzati anche a fare piccoli lavori di esbosco.

Un esercito insufficiente ad attaccare i 4 milioni di metri cubi di alberi danneggiati dalla tempesta Vaia a fine novembre 2018. Cifra che dà l’idea del disastro e spiega perché il lavoro negli ultimi mesi sia esponenzialmente aumentato. Non però il numero di boscaioli trentini. «Abbiamo chiamato aziende da fuori per far fronte alle richieste, da soli non ce la potevamo fare» spiega Paolo Sandri. Sono arrivati in massa soprattutto gli austriaci, abituati a lavorare sulla quantità con attrezzature d’avanguardia. Ma nonostante l’affollamento, con centinaia di addetti impegnati a liberare sentieri, tagliare e cercare di salvare le piante dall’attacco del bostrico, non sarebbe questa una causa di aumento dei pericoli. «Certo, più gente lavora e più potenzialmente aumentano i rischi - ammette Cattani - ma non ci sono evidenze di un incremento straordinario di infortuni».

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