Gasperetti, il chirurgo delle donne Ma anche degli uomini che vogliono cambiare sesso

di Patrizia Todesco

Nella sua carriera di chirurgo ha operato più di 5 mila donne. I suoi “maestri” sono stati l’ex primario Claudio Eccher e soprattutto la chirurga Daniela Cazzolli. Oggi Fabio Gasperetti è sicuramente il chirurgo che in Trentino opera il maggior numero di donne alle quali viene diagnosticato un tumore al seno. Ma non solo. A lui si rivolgono anche le donne con il seno troppo grande, uomini che vogliono cambiar sesso e che quindi hanno bisogno di metter mano al seno e anche uomini con problemi di ginecomastia, ossia ai quali si è ingrossato il seno.

Fabio Gasperetti, classe 1962, dopo aver lavorato nel reparto guidato dal professor Eccher, essere stato due anni a Cavalese, è tornato al Santa Chiara, nella reparto di chirurgia prima divisione, oggi guidato dal dottor Tirone. Da anni si è specializzato in senologia, dedicando la sua attività soprattutto all’asportazione dei tumori.

Dottor Gasperetti quante donne si rivolgono a lei e al reparto ogni anno?

Noi trattiamo circa 500 nuove pazienti all’anno. Abbiamo una forte collaborazione con la senologia radiologica che ci invia gran parte delle paziente. Poi una minima parte arriva da fuori provincia. Oltre alla mia equipe opera anche quella della dottoressa Gabriella Berlanda, della chirurgia II.

Oggi al Santa Chiara la Brest Unit è dunque realtà?

C’è dal punto di vista funzionale per quanto riguarda i consulti pre e post operatoria e per il fatto che ci sono sale operatore dedicate.

Quante?

Quattro sedute in anestesia generale a settimana e poi le sedute ambulatoriali.

Cosa manca?

Si sta lavorando per avere un piccolo reparto “dedicato” dove trovino posto tutte le persone operate. Dovrebbe essere creato a breve. Va detto che il ricovero per l’intervento è solo una breve parte dell’intero iter: ci sono un prima e un dopo intervento che sono altrettanto importanti perché le donne che si rivolgono qui hanno soprattutto bisogno di essere prese in carico, di avere dei punti di riferimento. Credo che su questo la dottoressa Cazzoli abbia fatto un ottimo lavoro e sia stata una brava maestra. La senologia è un tipo di chirurgia che forse tecnicamente presenta meno difficoltà ma si deve creare un rapporto di fiducia con la paziente che per altri interventi è non richiesto. C’è bisogno di informare, di dialogare, di dedicare tempo.

Oggi le pazienti sono sempre più esigenti?

Diciamo che sono informate, che girano per sentire altri pareri ma in generale, in Trentino, per quanto riguarda la senologia, le persone che si rivolgono altrove sono poche.

Quanto tempo passa dal momento della diagnosi di tumore al seno all’intervento?

Diciamo che dal momento in cui noi le prendiamo in carico, ossia una volta completati tutti gli accertamenti di competenza della radiologia senologica, solitamente passa un mese.

Tempo accettabile?

Dire più che accettabile. E comunque le donne sanno che non è una settimana in più o in meno che cambia le cose. Sappiamo che l’attesa è snervante, ne siamo consapevoli, e per questo comunque facciamo il possibile per ridurre i tempi.

Lei opera donne dal tumore al seno da oltre 15 anni. Cosa è cambiato?

Il vero progresso c’è stato soprattutto nelle terapie farmacologiche, anche se anche nella chirurgia ci sono stati cambiamenti. Oggi si asporta sempre meno, anche perché la gente non accetta più certe mutilazioni. Inoltre oggi, salvo casi particolari, è sempre prevista la ricostruzione. Anche noi chirurghi siamo sempre più conservativi. Mentre negli anni ‘90 esisteva solo la mastectomia radicale o la quadrantectomia e la scelta si basava solo sulla grandezza del tumore, oggi si guardano i parametri biologici, ossia quanto quel tumore è aggressivo e in base a questo si decide quanto asportare. Anche l’analisi del linfonodo sentinella ha permesso di evitare al 70% delle donne dalla rimozione dei linfondodi.

Oggi le percentuali di donne che sopravvivono al tumore al seno sono sempre più alte. Questo grazie al lavoro multidisciplinare che viene svolto a partire dalla radiologia, fino all’oncologia.

Noi possiamo asportare la massa, ma sappiamo che per certi tipi di tumore non è sufficiente. Purtroppo c’è anche una piccola quota di pazienti che, condizionate da false informazioni, preferiscono non proseguire con le terapie. Anche questa settimana ce ne è stata una.

Quale è la percentuale di donne operate che deve sottoporsi a chemioterapia dopo l’intervento?

Per la maggior parte di loro non è necessario, è sufficiente la terapia ormonale. Poi c’è anche la radioterapia che va solitamente effettuata quando non viene tolta tutta la mammella e che in casi selezionati può essere effettuata anche durante l’intervento in un’unica seduta.

Lei parlava di ricostruzione. Quanto è importante l’estetica per le donne che vengono operate di un tumore al seno?

Lo è. Oggi ci sono nuovi materiali che consentono di proteggere protesi e risultati e da ormai dieci anni si usa il grasso corporeo delle pazienti per ricostruire parti della mammella. Prioritariamente bisogna tenere presenti gli aspetti oncologici, ma non va sottovalutata l’estetica e il bisogno della donna di tornare ad un aspetto “normale”.

Che età hanno le pazienti che si rivolgono a lei?

Ci sono donne di tutte le età, anche qualche rara novantenne e qualche rarissima donna sotto i 30 anni. Poi va detto che c’è anche qualche uomo, almeno 4-5 casi all’anno.

Lei però non opera solo donne con il tumore.

C’è una forte richiesta di donne che chiedono interventi di riduzione al seno, poi c’è bisogno di sostituire le protesi vecchie, quelle inserite negli anni ‘90, ma anche un numero crescente di uomini che chiedono di cambiare sesso. Poi anche persone che si sono sottoposte a terapia bariatrica o uomini che soffrono di ginecomastia. Il lavoro non manca.

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