Sentieri vietati alle bici, ma i cartelli non ci sono La Sat: «Boom di ebike e mtb, situazioni pericolose»

di Zenone Sovilla

«Ormai sui sentieri vediamo di tutto, sempre più gente in mountain bike, anche elettriche, che crea pericoli per sé e per gli escursionisti a piedi».

Franco Andreoni, presidente della commissione sentieri della Sat è preoccupato per la sicurezza sulla rete di 5.500 chilometri dei segnavia gestiti dalla Società degli alpinisti tridentini.
«Abbiamo lavorato un paio d’anni - proseue - al tavolo provinciale con Trentino Marketing e i Comuni, per l’individuazione dei sentieri più rischiosi, nei quali introdurre il divieto. Ci abbiamo messo tutta la buona volontà per andare incontro alle esigenze manifestate dalle realtà turistiche. Alla fine si è concordato di vietare alle bici una piccola quota minoritaria dei nostri sentieri, qualcosa attorno al 15% dei chilometri totali. Abbiamo trovato un’intesa su dove e come posizionare gli avvisi. Peccato che latiti l’applicazione di queste decisioni: quasi dappertutto mancano ancora i cartelli di divieto che negli anni scorsi gli enti locali si erano impegnati a posare».

In altre parole, il ciclista non può conoscere i percorsi off-limits, ci si affida al buon senso, con tutte le insidie del caso?

«Certo. Non solo, abbiamo molti turisti che arrivano dalla Germania o da altri Paesi stranieri, muniti di cartografia aggiornata ma priva di qualunque indicazione sui divieti alle mtb: quindi fermarli sostanzialmente è impossibile e rischiano di finire in situazioni a rischio».

Dunque, che cosa intendete fare per tentare di sbloccare questa paralisi?

«Ci appelliamo nuovamente alla Provincia affinché solleciti l’attuazione dell’accordo. La questione è semplice: bisogna allestire la segnaletica e poi farla rispettare».

Il precedente è la legge provinciale del 1993 che vieta l’uso della bici nei tratti in cui la pendenza supera il 20% e dove il sentiero è più stretto della larghezza del mezzo. Norme a loro volta ignorate nella segnaletica e quindi nella prassi. La vostra esperienza che scenario fotografa sui sentieri trentini?

«Preoccupante. Anche lunedì scorso, durante un intervento di manutenzione sopra la val di Pejo, abbiamo incrociato persone che salivano e scendevano in mtb come se niente fosse. Non parliamo poi delle zone più frequentate, come il Garda o la val di Fassa. Non c’è niente da fare, i divieti sono rimasti nei cassetti. Oppure sono diventati l’occasione per esercizi di creatività di qualche Apt che ha posizionato avvisi minuscoli, solo dove faceva più comodo».

Non sarebbe il caso che il legislatore se ne occupasse?

«Una norma applicativa a supporto della legge esistente potrebbe facilitare un processo che, però, si basa su un accordo specifico di per sé da rispettare invece di temporeggiare o chiedere deroghe. Per noi è importante promuovere la fruizione della montagna e abbiamo veramente circoscritto i tratti interessati dai divieti espliciti, ci siamo sforzati di consentire il transito nei sentieri di raccordo fra due itinerari, non c’è ostilità nei riguardi delle esigenze turistiche. Ma c’è un limite e ora almeno qui bisogna essere seri. Non dimentichiamo il numero crescente di incidenti connessi con la massificazione dell’uso della mtb sui sentieri».

Divieti a parte, c’è la questione dell’educazione di chi frequenta la montagna, tanto più in bici, mezzo sul quale i rischi si moltiplicano.

«Indubbiamente si tratta anche di una questione culturale e bisogna lavorare molto sul fronte della sensibilizzazione, della diffusione di una conoscenza appropriata. Ormai indietro non si può tornare, ma servono capacità e decisione per governare uno scenario in evoluzione e per ridurne le criticità».

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