Formigoni esce dal carcere concessi gli arresti domiciliari I giudici: «Ha compreso i suoi sbagli»

Esce dal carcere e va ai domiciliari Roberto Formigoni, l’ex governatore della Lombardia finito in cella lo scorso febbraio dopo la condanna definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione. Lo ha deciso il tribunale di sorveglianza di Milano.

Roberto Formigoni ha «riletto la sua vicenda comprendendone gli sbagli» a partire dalla sua «amicizia con Daccò», comprese le «vacanze in yacht», e per lui, condannato in via definitiva per il caso Maugeri, anche se volesse, non c’è più «spazio» per collaborare. Lo scrive il Tribunale di Sorveglianza nel provvedimento con cui gli ha concesso i domiciliari a casa di un amico. I giudici valorizzano il «basso profilo» da lui tenuto in carcere con i detenuti che, in quanto ex politico, gli hanno fatto molte richieste.

Nel provvedimento i giudici (Di Rosa, La Rocca e due esperti) riportano anche le dichiarazioni rese nei giorni scorsi durante l’udienza dall’ex Governatore. «Mi conformo alla sentenza di condanna - ha detto - e comprendo il disvalore dei miei comportamenti». La «mia riflessione sui fatti del processo», ossia la corruzione nel caso San Raffaele-Maugeri, si è accresciuta «in carcere».
Dunque, i giudici, in sostanza, da un lato valorizzano il suo «percorso di cambiamento» e, dall’altro, spiegano che ha diritto ai benefici penitenziari, e in questo caso ai domiciliari da ultrasettantenne (ha più di 72 anni) perché «il presupposto della collaborazione è impossibile».

Il carcere, in pratica, per lui sarebbe stato ancora necessario se avesse potuto collaborare con nuovi elementi e ciò a prescindere dell’applicazione, retroattiva o meno, della legge “spazzacorrotti”. Entrambi i temi, comunque, erano stati sollevati dai difensori Mario Brusa e Luigi Stortoni.

La Procura aveva depositato una memoria per chiarire che non aveva «elementi certi per ritenere, ma nemmeno per escludere» che l’associazione criminale, di cui facevano parte Pierangelo Daccò e l’ex assessore Antonio Simone, i collettori delle tangenti per Formigoni, fosse «ancora in atto». E non poteva «escludere l’utilità di dichiarazioni» di Formigoni «proprio per il suo ruolo nella vicenda» anche per recuperare «l’ingente patrimonio» transitato per paradisi fiscali e mai recuperato.

Per i giudici, però, anche se è «pacifico» che il “Celeste” non ha collaborato nelle indagini e nel processo, per lui ora non ci sono più «spazi» per farlo, anche perché i pm hanno portato solo «presunzioni» e non elementi «per fondare una possibilità» di collaborazione. Anzi, il processo ha ricostruito tutti gli elementi «con pignoleria».
Importante per i giudici, infine, il suo percorso di questi mesi, «lo stile di vita riservato, la resipiscenza», i «buoni comportamenti», l’attività di volontariato nella biblioteca del carcere. Mentre la Procura generale valuta se ricorrere, Formigoni va ai domiciliari a casa di un amico che si è detto pronto ad aiutarlo economicamente, anche perché lui, come ha detto, non può più nemmeno comprarsi da mangiare.

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