I gatti disturbano la vicina Per la Cassazione è stalking

Usare i propri gatti per disturbare la vicina di casa è stalking. Lo ha stabilito la Cassazione in una sentenza che ha conquistato la ribalta nazionale. I giudici, confermando la sentenza di condanna della Corte d’appello di Trento, hanno stabilito che i comportamenti molesti della vicina, che avrebbe lasciato liberi di scorrazzare i suoi numerosi gatti sporcando le aree comuni, integrano il reato di atti persecutori. Il caso dunque si chiude al terzo grado di giudizio con condanna della ricorrente a pagare le proprie spese e quelle della parte civile (quantificate queste ultime in ulteriori 2.000 euro).

Protagoniste di questa curiosa querelle anche giudiziaria, sono due anziana donne e vicine di casa che, evidentemente, proprio non riescono ad andare d’accordo.
L’imputata è accusata in primis di aver molestato la vicina con i suoi gatti “sporcaccioni”: gli animali invece che fare i bisogni nella lettiera pare abbiano colpito a più riprese  sulle scale e nelle zone verdi comuni.

«Contrariamente a quanto eccepito dalla ricorrente - si legge nella sentenza - i giudici del merito non hanno sostanzialmente addebitato alla (omissis) una mera incuria colposa nel governo dei propri animali, evidenziando invece come, nonostante le ripetute lamentele, ella abbia volontariamente continuato a liberarli nelle parti comuni dell’edificio abitato anche dalla persona offesa, nell’evidente consapevolezza delle conseguenze sul piano igienico che ciò comportava e della molestia che in tal modo arrecava alla propria vicina. Comportamento questo certamente riconducibile a quello tipizzato dall’art. 612  bis», cioè il reato di atti persecutori».

Secondo la difesa si trattava di episodi occasionali e non voluti. Tesi che però non ha convinto i giudici che hanno promosso la sentenza di secondo grado la cui articolata motivazione, «oltre che su quanto affermato dalla persona offesa, ha fondato le proprie conclusioni basandosi anche sulle dichiarazioni dei numerosi testi - compresi gli agenti della polizia municipale allertati dalla persona offesa - che avevano avuto modo a vario titolo di frequentare l’edificio e che tutti unanimemente hanno riferito circa la presenza di escrementi animali ovvero dei persistente olezzo delle loro deiezioni».

I gatti non sarebbero stati l’unica “arma” utilizzata dall’ostile vicina di casa per colpire la sua dirimpettaia. Alla donna si imputava anche la comparsa sui muri di scritte ingiuriose come “suina” e “befana”. «Per quanto riguarda l’attribuibilità all’imputata delle scritte e dei cartelli contenenti insulti e minacce - si legge in sentenza - questa è stata logicamente desunta dal giudice dell’appello dal contesto della vicenda, ma, soprattutto, dal fatto che l’edificio teatro dei fatti era una villetta bifamiliare, le cui parti comuni servivano esclusivamente, oltre che l’abitazione della vittima, quella dell’imputata, ritenendo dunque escluso che altri potessero essere stato protagonista di tali comportamenti o avere interesse a porli in essere». Dunque la condanna per stalking passa in giudicato.

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