Assegno illegittimo, Regione «bocciata» Dopo 6 anni ai dipendenti indennità a vita I giudici: violato l'equilibrio della spesa

di Sergio Damiani

Si chiama indennità di posizione. È una voce della busta paga dei dipendenti della Regione che svolgono incarichi di natura organizzativa.

È una voce che ha il sapore del privilegio perché una legge regionale ad hoc, approvata nel dicembre del 2017, prevede che, dopo 6 anni dall'incarico di natura organizzativa, l'indennità nella sua componente fissa si trasforma in assegno personale pensionabile. In pratica, trascorsi sei anni, il dipendente continua a percepire l'indennità anche se non svolge più alcun incarico di particolare rilievo organizzativo.

Su questo assegno, o meglio sulla norma che lo ha istituzionalizzato, è intervenuta la Corte costituzionale con una sentenza depositata nei giorni scorsi che ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 4 comma 1 , terzo periodo, della legge regionale 11 del dicembre 2017. 

Cosa succederà adesso? In teoria la Regione per ottenere la parificazione del bilancio dovrebbe recuperare il denaro erogato ai suoi dipendenti - si può stimare una somma tra i 20 e i 30 mila euro per il 2018 - sulla base di una normativa che non esiste più perché cancellata dalla Consulta. L'ente pubblico potrebbe anche andare più indietro (al massimo di 5 anni oltre i quali scatta la prescrizione) e chiedere la restituzione delle somme erogate anche prima, sulla base del contratto di lavoro. 

In realtà i dipendenti della Regione possono dormire sonni tranquilli: avendo ricevuto l'assegno personale in perfetta buona fede, è improbabile che siano costretti a rimborsare la Regione. Piuttosto chi rischia un'azione contabile - ma allo stato è una mera ipotesi di scuola - è chi ha approvato quella norma incostituzionale su un tema che la procura regionale della Corte dei conti aveva già sollevato in sede di parificazione del bilancio della Regione.

Anche l'anno scorso il procuratore regionale Marcovalerio Pozzato aveva toccato la questione chiedendo alle Sezioni riunite della Corte dei conti di sollevare incidente di costituzionalità proprio sull'articolo 4 comma 1, terzo periodo, della legge regionale 11 del dicembre 2017 là dove prevede che «dopo almeno sei anni di incarico di preposizione alle strutture organizzative o loro articolazioni, la sola parte fissa dell'indennità di posizione si trasforma, alla cessazione dell'incarico, in assegno personale pensionabile in base al sistema retributivo». Norma che il procuratore Pozzato riteneva «lesiva di importanti principi costituzionali afferenti al buon andamento e all'efficienza dell'apparato amministrativo, nonché all'uguaglianza fra i soggetti». Questo perché secondo il procuratore regionale «nel caso in specie, l'amministrazione qualora il dipendente non mantenga l'incarico che gli ha dato diritto all'indennità di posizione continuerebbe a corrispondere un compenso per mansioni non più svolte, con ciò causando un ingiustificato esborso economico». E ancora:

«Dall'applicazione della norma risulta una evidente disparità di trattamento fra pubblici dipendenti, aventi il medesimo inquadramento professionale, laddove uno di essi avesse ottenuto per sei anni l'indennità garantendosi per tutta la vita un compenso accessorio automatico e ricorrente». Valutazioni nella sostanza condivise dalla Consulta secondo cui «la normativa censurata pone in essere una lesione diretta dei principi posti a tutela dell'equilibrio del bilancio e della copertura della spesa presidiati dall'articolo 81 della Costituzione». La sentenza vale anche per la Provincia di Bolzano dove i dipendenti interessati sono centinaia e non qualche decina come in Regione. Non vale invece per la Provincia di Trento dove l'indennità permane ma solo per 3 anni dalla perdita dell'incarico.

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