Bernardi, primaria a Milano per dare la caccia ai tumori

Daniela Bernardi, classe 1970, dal 2007 ad ottobre dello scorso anno è stata responsabile dello screening mammografico dell’Azienda sanitaria trentina. Nel corso della sua vita ha letto migliaia di radiografie. Comunicato a centinaia di donne che c’erano approfondimenti da fare perché l’esito della mammografia non era negativo. Ascoltato le paure di moltissime di loro davanti ad una diagnosi di tumore. Ma tanti anche gli abbracci quando il tumore era stato vinto. Da ottobre Daniela Bernardi non lavora più al centro senologico di via Degasperi. È stata chiamata all’Humanitas di Milano a guidare, nell’ambito della radiologia diagnostica, la sezione autonoma di radiologia senologica e screening. Un ospedale, l’Humanitas, che oltre ad un centro ad alta specializzazione, è anche centro di Ricerca e sede di insegnamento universitario.

Dottoressa Bernardi, per quanti anni ha lavorato a Trento?

Dal 1999. Diciannove anni. È stato il mio primo incarico dopo la specialità in radiologia. Sono stata assunta quando c’era il dottor Dalla Palma e ho avuto la grande fortuna di occuparmi da subito di senologia.

Perché fortuna?

Uno perché mi piaceva molto già quando frequentavo la scuola di specialità. Poi perché era il momento giusto. Da lì a poco è partito lo  screening che prima era seguito dal dottor Della Sala. All’epoca c’eravamo solo io, il dottor Pellegrini e Della Sala.

E che esperienza è stata quella di Trento?

Un’esperienza bellissima. Sono stata contentissima degli anni trascorsi a Trento. Azienda e assessorato sono stati sempre molto lungimiranti. Lo screening trentino è di uno di quelli con risultati di performance migliori e sono orgogliosa di aver guidato la struttura semplice per più di 10 anni. Siamo partiti che lo screening coinvolgeva 15 mila donne e ho lasciato che ne arruolava 28 mila. Con l’assessore Borgonovo Re siamo riusciti a centralizzare gli esami in due centri dove opera solo personale dedicato e questo modello è stato fonte di ispirazione per molte realtà di screening, sia nazionale che estere. All’inizio è stato difficile far capire che la qualità passa attraverso i numeri e che più il radiologo fa e più diventa bravo ed esperto. Lo screening, però, non ha mai avuto un calo di adesione: le donne sono molto sensibili e hanno compreso.

Poi però è arrivata la chiamata da Milano.

L’opportunità di andare a Milano è arrivata anche perché a Trento abbiamo portato avanti tanta attività scientifica e siamo stati tra i primi a parlare di tomosintesi e soprattutto di tomosintesi nello screening. Abbiamo pubblicato tanto, tra cui due lavori importanti su Lancet Oncology che è una rivista scientifica molto prestigiosa e che hanno dato tanta visibilità alla senologia di Trento. Nel frattempo io ho conseguito l’abilitazione per l’insegnamento universitario. A quel punto è arrivata anche la chiamata da Milano e ho colto l’opportunità datami: sono orgogliosa di poter lavorare in un centro di eccellenza quale è Humanitas che mi ha dato piena fiducia ed offerto la possibilità di guidare un gruppo di grandi professionisti portando avanti un progetto di organizzazione o ottimizzazione. È di certo un lavoro di estrema responsabilità ma sicuramente molto entusiasmante.

Numeri più alti quelli che deve gestire a Milano?

No, i numeri non sono più alti. Qui abbiamo un modo diverso di lavorare. Mentre a Trento c’era tanta attività di screening ed il tumore lo si cercava e lo si indirizzava alla cura, qui - in quanto centro specializzato - la maggior parte delle donne arrivano già con una diagnosi o un sospetto per essere poi operate e curate. Si tratta di un’utenza diversa proveniente da tutta Italia, soprattutto dal Sud.

Un bel salto da Trento a Milano. Fa la pendolare o si è trasferita?

Mi sono trasferita con i miei figli. I ragazzi sono stati entusiasti all’idea di venire a vivere qui e questo ha facilitato le cose. Un loro no avrebbe condizionato la mia scelta.

Non le manca il Trentino?

Ci vengo spesso. Ho mantenuto un ambulatorio a Trento e comunque torno proprio perché mi manca il Trentino e la montagna che sono per me una grande passione. Poi gli affetti li ho tutti a Trento e un taglio netto sarebbe stato impossibile soprattutto per i ragazzi.

Quando si parla di oncologia e di Milano, si pensa a strutture all’avanguardia. Quanto è avanti l’Humantas rispetto a Trento?

Partendo dal presupposto che in Trentino nel settore della senologia siamo sempre stati molto all’avanguardia, qui in Humanitas sto lavorando con le stesse tecnologie che ad oggi rappresentano il meglio nella diagnostica senologica per garantire l’eccellenza. Cambiano semplicemente le dimensioni: abbiamo certamente più macchine a disposizione. A differenza di Trento, invece, Humanitas è un istituto a carattere scientifico la cui mission è sì la cura ma anche la ricerca: nell’ambito della patologia mammaria, sono in corso diversi studi clinici ed altri siamo in procinto di avviarli. E poi qui c’è l’Università.

In Trentino le donne primario sono poche. Anche fuori i numeri sono limitati. Lei è un’ eccezione anche perché comunque non ha sacrificato la famiglia al lavoro. Quale è il segreto?

Io non voglio credere che lo scarso numero di donne che rivestono incarichi primariali sia dovuto a dei pregiudizi tra uomini e donne. Certo per una donna è difficile far combinare tutto, a volte si è quasi obbligate a scegliere una cosa e a rinunciare ad un’altra. Io credo, e nel mio piccolo è quello che ho fatto, che combinare la vita lavorativa con la famiglia non sia impossibile. Sicuramente è molto impegnativo. Per portare avanti l’attività di ricerca ho dovuto lavorare molte ore di notte perché non volevo togliere tempo ai miei figli.  Non credo di essere una mamma perfetta e nemmeno una professionista perfetta ed ogni giorno è una sfida per riuscire a trovare il giusto compromesso. Conciliare tutto è la parte più difficile, la sfida quotidiana. Poi bisogna imparare a farsi aiutare.

Come è arrivata a fare medicina e poi a specializzarsi in radiologia?

Ho frequentato il liceo scientifico Galilei e poi ho fatto il test sia per odontoiatria che medicina. Sono passata a medicina e dopo il primo anno mi sono innamorata di questa professione. Nella scelta di specializzarmi in radiologia è stato fondamentale l’incontro con il professor Pistolesi.

E alle donne trentine cosa si sente di dire?

Che sono in mani stupende e che devono fare prevenzione: l’adesione allo screening abbassa la mortalità. Aggiungo solo che sarebbe giunto il momento di considerare anche le donne più giovani e di iniziare ad abbassare l’età dell’avvio dello screening almeno a 45 anni se non addirittura ai 40. Aiutare le donne giovani è la prossima vera sfida.

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