Il sorriso di Emma Della Libera, che studia la sua malattia

di Matteo Lunelli

Emma sorride sempre. Ti guarda dietro i suoi occhialoni, con attenzione, ma non smette mai di sorridere. Anche se parla di cose molto serie o molto complicate (almeno per noi), lo fa sempre con leggerezza. E racconta, e racconta. Si ferma solo per prendere fiato o sistemarsi sulla sedia. Emma Della Libera è una studentessa: ha 21 anni («appena compiuti, sono di gennaio»), è di Treviso, precisamente di Vascon di Carbonera, e da due anni vive e studia a Trento. Emma è affetta da una rara malattia genetica, l’atassia di Friedreich. Atassia deriva dal greco e si traduce con disordine. Friedreich è invece il medico tedesco che per primo descrisse la malattia nel 1863. Si tratta di un’anomalia genetica che comporta nel tempo, in poco tempo purtroppo, un danno progressivo del sistema nervoso. «Mi è stata diagnosticata quando avevo solamente 12 anni. Da allora vivo sperando di riuscire a fare qualcosa per tutte le persone che hanno questa malattia. È nata l’associazione “Ogni giorno per Emma”: era il 2010 ed era trascorso un anno dalla diagnosi. Ne fanno parte mia mamma Annalisa, mio papà Italo e mio fratello Rocco».


 

Come sei arrivata all’Università di Trento?
Grazie a un volantino che ho trovato nella busta delle lettere: ero indecisa tra Padova e Trieste, stavo valutando biotecnologie e biologia molecolare, ma poi ho visto che a Trento esisteva una facoltà di biotecnologie molecolari, il top.
E ti sei subito iscritta?
Non immediatamente, perché per me non poteva essere tutto così immediato: ho iniziato a informarmi e qui ho trovato subito grande disponibilità, anche se ero consapevole delle mie difficoltà. Mi avrebbero fatto lavorare in laboratorio, perché lì si fanno le cose in equipe, e quindi quello che me sarebbe stato difficile o pericoloso l’avrebbe fatto qualcun’altro. Ho capito che la mia disabilità non sarebbe stata uno sbarramento. Alla faccia di chi mi diceva “Ma proprio non ti piace filosofia o economia?”, ovvero facoltà senza laboratori, dove si fa funzionare solo il cervello e non le mani.
La passione per la scienza c’è sempre stata?
Sì, volevo capire cosa c’è dentro di noi, come funzioniamo. Per capire meglio anche la mia malattia, al di là del mio coinvolgimento e delle mie vicissitudini.
Sei una studiosa?
Diciamo che lo studio era una cosa nella quale potevo riuscire bene e mi sono sempre impegnata e spesa molto. Non potendo fare sport e avendo smesso di suonare ho puntato sui libri.
Che strumento suonavi?
Il pianoforte: l’ho fatto per 6 anni ma poi ho lasciato perdere perché sono arrivata a un punto in cui non riuscivo più a migliorare e anzi regredivo per via della malattia. Mi piaceva molto Bach.
Bach? Per una ragazza così giovane?
Beh, poi non ascolto mica solo la classica. Come testi mi piace Jovanotti, mentre come musica Gualazzi. E poi mi piace leggere e scrivere.
Al Cibio stanno già lavorando sulla atassia di Friedreich?
Non proprio su questa, ma l’anno scorso hanno creato un “correttore genomico” che potrebbe realizzare un avanzamento cruciale nella lotta contro le malattie genetiche. La mia malattia è considerata orfana.
Ovvero?
In sostanza poco studiata e senza cure. È una malattia rara, che colpisce circa una persona ogni ventimila, e il meccanismo che riguarda la proteina carente è avvolto nel mistero.
Sentiamo, e speriamo, che stia per arrivare un «però». Sei tu quel però?
Mi piacerebbe, io ci proverò. Tuttavia hai ragione: un però c’è. Diciamo che qualcosa si sta muovendo: la fase di diagnostica è molto migliorata, adesso si può trovare già a 8 anni, mentre con me è accaduto quando ne avevo 12. Poi con la fisioterapia si può fare molto e in Italia ci sono tre centri specializzati. Per carità, nessun miracolo, ma quando ero adolescente mi avevano detto di smettere che non sarebbe servito a nulla, invece è utile per mantenere una qualità della vita migliore.
E tu non hai smesso: abbiamo intuito che non sei una ragazza che molla tanto facilmente.
Esatto. E infatti i miei problemi sono rallentati. Mi muovo con il deambulatore e ho mantenuto la forza, mentre stare seduti crea problemi alla circolazione, alle ossa, alla respirazione, ai muscoli.
Hai coraggio da vendere: perché hai deciso di esporti, di metterci la faccia e di rendere pubblica la tua storia?
Più se ne parla meglio è: forse non per me direttamente, ma per tutti gli altri e per il futuro di tante persone sì. Io spero di fare qualcosa per tutti. Quanto grande e importante sia quel qualcosa, però, non lo so ancora. In tanti con l’atassia di Friedreich mi scrivono per cercare in me un’intermediazione, un linguaggio e spiegazioni più alla portata di tutti.
Questo è il tuo sogno, quindi.
Esatto, sogno un concreto passo in avanti nella ricerca per dare una concreta speranza alle persone. Io ho i segni della malattia, e neanche pochi, ma ci sono persone che non riescono nemmeno a muoversi di casa. E di questo non si parla, pur vivendo in un Paese dove la salute è un diritto di tutti. Ah, c’è un altro passo in avanti che abbiamo fatto.
Prego, raccontaci.
Io prendo una medicina, che veniva data ai malati di sclerosi multipla per tenere sotto controllo gli aspetti cardiaci: un farmaco nato per altri scopi ma ne traggo beneficio anche io. La nostra associazione ha finanziato degli studi e ora in molte regioni quella medicina è gratuita: non sarà nulla di risolutivo o miracoloso, ma per più di 50 persone è stato un tassellino in più. In generale ora non si vede solo buio, una lucina in fondo in fondo c’è.
Tu non sei una studentessa, sei una lezione di vita.
Ma va! Sai, io non so se potrò fare la professione che fanno queste ragazze qui (e si gira a guardare il gruppo di ricercatrici nel laboratorio ndr), ma vorrei almeno essere nei pressi, stare qui intorno e dare un contributo. Vorrei parlare e spiegare cosa si fa e cosa si può fare, fare lezioni e raccontare ai giornalisti. Se possibile anche partecipare, ma sono realista e non so se sarà possibile.
Trento ti piace? Si vive bene?
Sì, moltissimo. Il centro è fantastico perché è liscio e con poche barriere architettoniche. Ma se posso dirlo alcuni negozi e ristoranti dovrebbero migliorare in questo aspetto.


DONARE È SEMPLICE

La metafora che viene in mente è quella calcistica: per tenere nella propria squadra (Cibio) l’allenatore migliore (professori) e i giocatori più forti (ricercatori), o per far arrivare i top player a livello mondiale, ci vogliono due cose, ovvero i risultati e i soldi. Funziona così, nel calcio come in argomenti decisamente più importanti e utili per il futuro e la salute di tutti noi. I risultati per la «nostra» squadra stanno arrivando e sono decisamente ottimi. Questo, però, fa si che tante squadre nel mondo mettano gli occhi su allenatori e giocatori, provando (legittimamente) a «comprarli».

E allora entra in scena il «vil» denaro: dopo aver letto storie come quelle di Emma sembra incredibile dover parlare di soldi, ma è così. Anche lei lo dice: «Per fare progressi nella ricerca servono tempo, capacità, studio e persone, ma anche tanto denaro. La gran parte dei fondi arrivano dai privati, ma è importante che ognuno doni qualcosa, perché poi i benefici saranno per la collettività».

E allora vi segnaliamo il sito dell’Università di Trento e in particolare questo link: si parla della straordinaria scoperta del Cibio sul correttore genomico e in qualche semplice click è possibile donare. E poi il sito per-emma.it, con la storia della «nostra» studentessa e la possibilità di contribuire ai progetti dell’associazione anche grazie al 5x1000. Basta poco se siete tifosi di «squadre» come il Cibio o «giocatrici» come Emma.

 

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