Anarchici, così agiva la cellula trentina «Pizzini», nascondigli e caccia alle microspie

di Sergio Damiani

«Scusa ma non ho capito, ma qual è la prospettiva se no, cioè non ho capito... come pensi di fare la rivoluzione? Senza ammazzare nessuno?». È il testo di una delle (surreali) conversazioni registrate, era il 25 settembre 2017, dalle microspie piazzate dagli investigatori nel covo di Bosco di Civezzano (va precisato che le frasi, riportate nell’ordinanza cautelare, sono state pronunciate da un soggetto diverso dai 7 arrestati). Da quella casa vicino ai boschi, infatti, gli anarchici trentini preparavano il terreno ad una improbabile rivoluzione.

Secondo gli inquirenti era una vera e propria associazione sovversiva, senza capi riconosciuti ma con ruoli e struttura organizzativa ben definita. C’erano luoghi di incontro e propaganda; messa a disposizione di una unità abitativa (Civezzano); utilizzo comune di due auto usate per la logistica preparatoria agli attentati; disponibilità di attrezzature informatiche per confezionare documenti falsi; condivisione di luoghi stabili di occultamento del materiale usato per gli attentati; periodiche verifiche nel covo alla ricerca di microspie e telecamere per l’intercettazione.

Gli indagati sapevano di essere nel «mirino» dei carabinieri del Ros e degli uomini della Digos e adottavano mille precauzioni per evitare i controlli delle forze dell’ordine. Il gruppo utilizzava anche «una rigorosa - si legge nell’ordinanza - compartimentazione delle informazioni riservando solo ai soggetti direttamente coinvolti la conoscibilità di elementi operativi, di programmi e progetti criminali».

Nelle comunicazioni interne adottavano «eccezionali cautele», riducendo al minimo il ricorso ai telefoni (che durante gli attentati venivano lasciati a casa, accesi), privilegiando mezzi di comunicazione telematica criptati. «Nella stessa strategia - sottolinea il giudice - si pongono le costanti bonifiche nei luoghi di residenza e sui mezzi di locomozione alla ricerca di strumentazione di controllo». In questo senso la cellula anarchica aveva sviluppato particolari competenze: gli inquirenti citano infatti l’utilizzo «di strumenti tecnologici al fine di rilevare la presenza di microspie».

Nell’ordinanza si fa riferimento anche a «comunicazioni scritte (anche in presenza di entrambi gli interlocutori all’interno dello stesso luogo) con i relativi fogli successivamente all’utilizzo distrutti».
Secondo l’accusa nel «covo» di Civezzano sarebbero stati anche «confezionati» documenti di identità falsi. Una carta di identità sarebbe stata realizzata per un anarchico poi arrestato in Grecia. Una curiosità: «al riguardo gli stessi hanno anche procurato i dati di documenti di identità da contraffare» ricavando le generalità dagli ospiti del rifugio alpino dove le due donne (solo una è tra i 7 arrestati) avevano lavorato.
L’organizzazione aveva anche proprie fonti di finanziamento e di mutuo soccorso in caso di interventi repressivi: «Collega tutti i compagni - è il testo di un’intercettazione ambientale - per tirare su i soldi per gli avvocati, viaggi, comunicare con i compagni a livello internazionale...».

Il giudice scrive che l’organizzazione anarchica trentina si è data un doppio livello: «Uno pubblico, di facciata, che si presenta come espressione propagandistica per la diffusione della propria violenta ideologia, anche attraverso azioni dirette (danneggiamenti e aggressioni fisiche); l’altro, occulto e segreto, tale anche per molti appartenenti al movimento, identificabile all’interno del contesto anarchico trentino nei gruppi di “affinità anarchica” di Bosco di Civezzano e Noriglio».

Scrive il giudice: «Appaiono dimostrate la natura violenta, terroristica ed eversiva delle azioni che gli stessi si sono proposti di commettere ed hanno in buona parte già commesso». L’obiettivo del gruppo secondo gli inquirenti era innescare un’insurrezione, una rivoluzione sociale che nelle intenzioni doveva aprire la strada all’anarchia.
Il 13 aprile 2017 un anarchico greco in vista ai compagni trentini, afferma tra il resto: «Gli sbirri sono una m., la divisa è una m., però non è che quando ci sarà la ribellione io uccido tutti gli sbirri, gli lascio fino all’ultimo momento una scelta di venire con noi...». Non sapeva che le sue parole venivano ascoltate da carabinieri e polizia che con il blitz di ieri hanno smantellato la cellula anarchica di Bosco di Civezzano.

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