Il coraggio di dire no al nazismo La resistenza nel lager di Bolzano

Furono circa 9.500 i prigionieri passati per le celle del lager di Bolzano di via Resia durante l’occupazione nazista.

Era un campo di transito, un «Durchgangaslager», o «Dulag»: l’anticamera per l’inferno. Ma esso stesso inferno, dove i prigionieri venivano torturati e uccisi, dove aguzzini come «Misha» Seifert o Hildegard Lächert, la «tigre», parlavano solo la lingua del terrore e della sopraffazione. «Fame, denutrizione, percosse erano esperienza quotidiana».

Il campo era diretto dal ten. Tito e dal feroce maresciallo Haage. Tra i guardiani e i secondini vanno anche ricordati per crudeltà Michael «Misha» Seifert, Otto Sain, Albino Cologna, Hildegard Lächert, detta la «Tigre»

Eppure... eppure anche tra quelle tetre mura circondate da violenza e sadismo, ci fu chi, e furono molti, seppe dire «no» al nazismo ed ebbe il coraggio e la saldezza d’animo «resistere».

Le donne rappresentavano solo il 7% circa di tutti i deportati in via Resia, ma furono probabilmente maggioranza tra gli attivi nel comitato clandestino del campo, e ancor più nella rete esterna

Proprio a loro, «alle donne e agli uomini che si opposero alle Ss», è dedicata la mostra documentaria «Oltre quel muro», firmata da Dario Venegoni e Leonardo Visco Gilardi e che già da qualche anno porta la memoria del campo di via Resia in diverse città italiane (attualmente è esposta a Milano).

Di questo meritoria e inestimabile lavoro di ricostruzione storica vi proponiamo, per onorare la Giornata della Memoria, il catalogo, che ci conduce all’interno del lager per conoscere i volti e le storie di tanti «eroi normali».

«Io e Dario (Venegoni, oggi presidente dell’Aned, l’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, ndr) abbiamo avuto destino comune in quegli anni - racconta uno dei due autori, Leonardo Visco Gilardi - perché mio padre è stato, all’interno del Cln di Bolzano, l’organizzatore della rete clandestina di assistenza ai deportati, mentre la mamma di Dario, Ada Buffulini, era la responsabile del coordinamento del comitato clandestino interno al lager»

La relazione tra i due era quotidiana, e avveniva attraverso bigliettini che entravano e uscivano clandestinamente dalle mura di via Resia.

«Centinaia furono i bigliettini, scritti su minuscoli pezzi di carta, o addirittura su cartine di sigarette, che – nascosti nei vestiti, passati furtivamente di mano in mano – entravano e uscivano dal campo e che documentano vicende umane, richieste di aiuto, notizie, avvenimenti, rapporti politici, direttive, informazioni sul lavoro clandestino, rendiconti»

«Noi come figli - continua Gilardi - abbiamo appreso la storia di prima mano dai genitori. E abbiamo trovato, in cantina di mio padre, un pacco con la gran parte di quella corrispondenza e di quei bigliettini e ci siamo detti che valeva pena di raccontare questa vicenda che, francamente, a Bolzano non è stata mai documentata dal punto di vista del risvolto politico. L’archivio di Bolzano ha fatto un egregio lavoro di documentazione e di raccolta delle testimonianze dei singoli, ma una sintesi non è mai stata elaborata».

Recuperare quella memoria è tanto più importante se si tiene conto che «per i nazisti, chi entrava nel sistema concentrazionario doveva sparire, sparire dalla faccia della terra ma anche dalla memoria». Il primo obiettivo è stato raggiunto per la maggior parte dui coloro che caddero nelle grinfie delle Ss, ma grazie all’opera di rilevazione effettuata all’interno del campo dai «resistenti», almeno la memoria di molti di loro è stata salvata.

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