Almeno tre anni per liberare i boschi Rischio crollo prezzo del legname

di Andrea Bergamo

Per liberare i boschi dai tronchi finiti a terra potrebbero volerci almeno tre anni. Lo schianto degli alberi ha comportato una modifica dell’habitat dei selvatici: gli ungulati saranno ad esempio facilitati nella ricerca di cibo, ma questo potrebbe frenare la «riccostruzione» dei boschi con nuove piante.
A evidenziarlo è il dirigente del Servizio foreste e fauna Maurizio Zanin, che in merito alle conseguenze del maltempo per la fauna selvatica (anche in termini di perdite di capi) evidenzia: «Non abbiamo ancora elementi tecnici attendibili da poter comunicare». Il motivo è semplice: «In questa prima fase il rilievo si sta concentrando sui danni subiti dalle infrastrutture e dai boschi. La raccolta di informazioni viene peraltro eseguita stando all’esterno delle aree forestali schiantate, perché sono impercorribili sia con mezzi meccanici sia a piedi. Sono una sorta di enorme shangai».

Una prima stima delle perdite è stata compiuta infatti sorvolando in elicottero i boschi: immagini che solo negli ultimi giorni sono rimbalzate anche sui media nazionali. «Il volume delle piante che stimiamo in questa fase possa essersi schiantato è compreso tra il milione e il milione e mezzo di metri cubi, a fronte di un totale di 70 milioni di metri cubi delle foreste trentine» riferisce il dirigente. Che osserva: «Anche l’esercizio della caccia in quelle aree è di fatto precluso e così pure l’accesso alle valli laterali ed a vaste porzioni dei versanti, a causa dell’interruzione delle strade forestali e dei sentieri d’accesso alle aree dove è avvenuta la caduta delle piante».

Le vaste aree interessate dai crolli saranno coperte infatti da cespugli ed erba, oltre che dalle piantine dalle quali si partirà per la ricostruzione dei boschi. E così, in prospettiva gli ungulati - favoriti sia sul fronte dell’offerta alimentare sia dell’habitat - potrebbero rappresentare un problema: «Basti pensare che in alcune zone la loro densità è già oggi piuttosto elevata. La foresta di Cadino, in particolare, ha subito un danno equiparabile a quello del 1966. Nelle grandi aree distrutte ci sarà probabilmente la necessità di interventi di integrazione e questo potrebbe confliggere con la forte presenza di caprioli e cervi che si alimentano e sfregano i palchi contro le giovani piante». L’esercizio dell’attività venatoria in quelle zone è comunque impossibile, a causa dell’impossibilità di raggiungere le aree, rese pericolose dal rischio frane e dalle piante pericolanti.

Per liberare i boschi dagli alberi crollati ci vorranno comunque alcuni anni: «Almeno tre, anche perché sarà necessario adottare particolari tecniche di disbosco» è la stima di Zanin. Il Servizio foreste e fauna sta ora lavorando alla predisposizione di un piano d’azione per l’utilizzo del legname e il ripristino del territorio ferito dal maltempo.

Tutto dovrà iniziare dal ripristino della viabilità, al quale seguirà il recupero del legname da parte di ditte specializzate: «Ma ci saranno certamente delle difficoltà legate alla fase della commercializzazione. L’immissione sul mercato di un volume così importante di legname (un quantitativo triplicato rispetto ai prelievi annuali del Trentino, al quale va aggiunto il prodotto delle altre regioni del nordest) deprimerà i prezzi e renderà più difficile la vendita».

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