Francesco in lotta con la fibrosi cistica A 35 anni un doppio trapianto di polmoni «Ricomincio a respirare e a combattere»

di Marica Viganò

La felicità è sentire il sapore di una mela, percepire l’acqua scorrere tra le mani e, soprattutto, poter tornare a respirare. Francesco Pelz, 35 anni, ha trascorso una vita assecondando i ritmi della malattia che gli diagnosticarono a soli quattro mesi: la fibrosi cistica. «Ogni giorno, quanto ti svegli, i tuoi primi pensieri sono la terapia farmacologica e la fisioterapia. Non solo al mattino, anche 3-4 volte in una giornata - spiega Francesco - C’è un prima e un dopo. E una data: l’8 luglio. È cominciata quel giorno la mia nuova vita».

Una nuova vita grazie a un dono speciale: i polmoni. È stato sottoposto ad un trapianto bipolmonare e, se non fosse per la mascherina con cui precauzionalmente protegge naso e bocca, nessuno potrebbe accorgersi della sua convalescenza. A poche settimane dall’operazione si è rimesso in piedi, ha iniziato a fare lunghe passeggiate e non si è più fermato: ora fa volentieri una camminata in montagna, si allena con la corsa e l’obiettivo è la mezza maratona. Il fisico - allenato da anni di fisioterapia con bici e mountain bike - sta rispondendo bene.

La svolta è stata l’8 luglio, con una telefonata arrivata nella notte: «Ci sarebbe un organo compatibile. Come sta?». A chiamarlo, all’1.20, era il medico del Policlinico di Milano che, nelle ore successive, l’avrebbe operato. «È squillato il cellulare, ho visto che la telefonata partiva da un numero di telefonino che non ho in rubrica. Non ho risposto pensando che qualcuno avesse sbagliato - racconta Francesco - Poi mi è venuto il dubbio che fosse l’ospedale. L’ho detto a Elisabeth, la mia compagna. A maggio, quando mi hanno inserito nella lista d’attesa, ci avevano spiegato che nel caso di un donatore di polmoni compatibile mi avrebbero chiamato più volte, su numeri diversi. Pochi secondi dopo il mio cellulare è squillato ancora. Era lo stesso numero. Ho risposto subito: era il medico che mi diceva di raggiungerlo subito a Milano».

Una telefonata che non si aspettava. Almeno, non così presto. «Un’attesa durata solo un mese e mezzo. Sono stato fortunato, perché per la compatibilità si valutano il gruppo sanguigno, le caratteristiche fisiche, le malattie infantili. C’è chi attende per anni». Cosa è successo a quel punto? «Tre minuti di panico. Il tempo di pensare a come organizzarci. Ho chiamato i miei genitori e sono partito con Elisabeth. Alle 4 ero a Milano. Mi hanno sottoposto a raggi, ho fatto i prelievi. Ancora non si sapeva se i polmoni del donatore fossero totalmente compatibili. Quando c’è stato l’ok sono stato portato in sala operatoria. Erano le 15.30, sono uscito da lì alle 5 del mattino del giorno dopo. A me è sembrato che l’intervento fosse durato trenta secondi. Ho avuto anche un arresto cardiaco. Ricordo dei flash dell’operazione, ho visto una luce. Questi interventi hanno il 5% di non riuscita, ma il problema vero è il post intervento, il rigetto, il recupero».

Francesco, quando ha aperto gli occhi, non si è reso subito conto del cambiamento. «Pensavo di risvegliarmi con la mascherina dell’ossigeno. Mi sono stupito quando ho capito che non avevo nulla, che respiravo da solo e in profondità. Ho pensato: “quanta aria c’è”. Per un anno e mezzo, prima dell’operazione, sono stato ossigeno-dipendente, andavo in giro con uno zainetto con le bombole. Non riuscivo a fare le scale, a volte neppure ad allacciarmi le scarpe. Non respiravo. Avevo fame d’aria, come quando si è in quota. Dopo più di 34 anni di dolore, dopo l’intervento mi sono sentito come un pascià. D’altronde mi considero un sopravvissuto: negli anni Ottanta, non c’erano le cure di oggi. Mi sono sottoposto a numerose sperimentazioni. C’è chi non ce la fa ad arrivare al trapianto. Per questo dico che l’8 luglio è partita una nuova vita per me».

Francesco Pelz è consapevole che avere «nuovi» polmoni non è il traguardo, ma una - importantissima - tappa. È pronto a mettercela tutta per vincere una malattia per la quale, ad oggi, non esiste una terapia unica e che porti alla guarigione. La fibrosi cistica intacca altri organi oltre ai polmoni, l’aspettativa di vita è ancora bassa, ma le ricerche vanno avanti.

«Vorrei far provare a tutti la sensazione che ho provato io dopo il trapianto, come mi sono sentito bene nel tornare a respirare profondamente. Dal giorno dell’intervento sono un’altra persona» spiega Francesco, che dieci anni fa è stato costretto a lasciare il posto in Provincia per «inabilità lavorativa» dovuta alla malattia. Il suo impegno ora è duplice. «Con la mia testimonianza vorrei far comprendere a tutti l’importanza della donazione degli organi - evidenzia - e quanto sia importante il sostegno alla ricerca affinché vengano trovate nuove terapie, appoggiando la Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica».

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