Agguato razzista a Verona, arcense indagato Parte del gruppo che picchiò dei ragazzi cingalesi

di Paolo Liserre

Calci, pugni e anche alcune bottigliate. «Solo» perché le loro vittime erano cittadini dello Sri Lanka e avevano un colorito leggermente più scuro del loro.

«Un chiaro agguato di stampo razzista», sostiene la Procura della Repubblica. Un agguato per il quale è finito nei guai anche un ragazzo di Arco di 24 anni, A.D. le iniziali del suo nome, da tempo domiciliato a Verona, che assieme ad altri sei giovani deve rispondere di «lesioni personali e percosse» con l’aggravante delle «finalità di odio razziale».

L’episodio di violenza è avvenuto il 4 febbraio del 2017 ma se n’è venuti a conoscenza solo nelle ultime ore in virtù dell’udienza preliminare davanti al gup del tribunale di Verona Marzio Guidorizzi, udienza peraltro aggiornata a febbraio a seguito della richiesta del legale di uno degli imputati di accedere al rito abbreviato. Quel 4 febbraio di un anno e mezzo fa era un venerdì sera e i ragazzi erano euforici con la prospettiva di un weekend di relax davanti a loro. Uno dei giovani cingalesi presi di mira dal «branco» si trovava all’interno del Bar Anselmi, nella centralissima Piazza Erbe di Verona. All’esterno il gruppo di aggressori, una ventina di giovani, 21 anni il più giovane, 30 il più vecchio, tutti di Verona e provincia eccezion fatta proprio per il ragazzo arcense.

Sguardi provocatori, qualche parola di troppo, le risate di scherno dei ragazzi italiani e quando una delle vittime è uscito dal bar e ha chiesto spiegazioni ecco che sono cominciati a volare gli insulti. «Sporco negro», «Negro di m...», fino al termine «Scimmia». Ma a quei giovani esaltati parole e insulti non bastavano e presto si è passati alle vie di fatto.  Il gruppetto, tra cui il ragazzo di Arco e due minorenni, avrebbe accerchiato il ragazzo cingalese cominciando a prenderlo a schiaffi, calci e pugni. Di lì a poco sono sopraggiunte tre persone (tra cui una ragazza italiana) in aiuto del malcapitato ma anche loro hanno dovuto subire la stessa sorte, compresi i colpi di bottiglia e di bicchiere alcuni dei quali hanno provocato ferite guaribili in una quindicina di giorni alla vittima del pestaggio. Gli indagati si difendono dicendo che non sono stati loro a picchiare quelle persone e la difesa contesta le contestazioni del pm Maria Federica Ormanni sostenendo che la base del castello accusatorio (il riconoscimento fotografico e la localizzazione nelle vicinanze di piazza Erbe delle celle telefoniche degli imputati) non stanno in piedi.

Se ne riparla all’inizio dell’anno venturo.

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