«Mamma Erasmus»: a Sofia Corradi il premio Alcide De Gasperi

di Franco Gottardi

È stato conferito a Sofia Corradi, in una cerimonia pubblica terminata pochi minuti fa nella sala Depero del palazzo della Provincia, il Premio internazionale «Alcide De Gasperi: costruttori dell'Europa». A lungo docente di Educazione permanente all'Università di Roma Tre, Corradi è l'ideatrice del Programma Erasmus dell'Unione Europea, il sistema di scambio tra università e riconoscimento di esami tenuti durante un periodo di permanenza all'estero. Conosciuta come «mamma Erasmus» l'84enne docente romana, nominata lo scorso anno Commendatore dal presidente Mattarella, riceve il premio biennale «Costruttori dell'Europa» dopo personaggi del calibro di Helmuth Kohl, Carlo Azeglio Ciampi,Simone Veil, Vaclav Havel, Felipe Gonzales, Romano Prodi e Mario Draghi. 

Professoressa Corradi, si sente tra coloro che hanno costruito l'Europa?
Un po' sì, perché ridendo e scherzando ormai gli studenti che hanno fatto l'Erasmus sono circa 5 milioni tra 5.000 università e, come ha rilevato Umberto Eco, c'è in giro anche circa un milione di bambini nati da matrimoni Erasmus, che non è poco.
Questo però non è un grande momento per l'Europa. È un po' in crisi.
Credo che occorra considerare l'Europa come una cosa umana, e come tutte le cose umane non è perfetta ma è perfettibile. 
Cosa servirebbe per rendere l'Europa migliore, più unita?
Se lo sapessi proporrei la mia candidatura come presidente dell'Ue. Il mio campo è la promozione dei contatti tra le persone e in questa fase della mia vita ho interesse che il maggior numero possibile di persone partecipino all'Erasmus.
In realtà già avviene.
Si ma non è stato facile. Sa quanto ho dovuto battagliare! Io non mi sono mai spiegata tutte quelle resistenze, sembrava che funzionari e burocrati ci rimettessero di tasca loro! Venivo insultata. Dicono che la maggiore forza è la gravità ma non è vero: è l'inerzia. 
Quando sono cambiate le cose?
Dopo 18 anni che battagliavo ho conquistato il terreno un po' alla volta. Prima ho ottenuto la formazione di una commissione di studio. Poi un Consiglio dell'Istruzione che però ha lavorato per anni ma era giuridicamente inesistente. Ancora nel 1987 quando è stato finalmente approvato l'Erasmus. Una comica.
Poi una volta partito è stato subito un successo?
Mica tanto. Per raggiungere il milionesimo studente ci sono voluti vent'anni. Ma adesso si scambiano ogni anno 300.000 studenti, 1 milione ogni tre anni.
Il vantaggio è avere un diverso modello didattico o secondo lei è proprio un'esperienza di vita?
Di vita. Chi fa l'Erasmus diventa una persona diversa, diventa un cittadino del mondo, uno propenso al dialogo anziché al conflitto. 
E se dovesse dare un consiglio a qualcuno su dove andare a fare il semestre all'estero cosa direbbe?
In qualsiasi posto, l'importante è andare. L'effetto Erasmus si verifica ovunque perché si entra in un ambiente profondamente educativo: dissimile ma non troppo dall'Università italiana, un ambiente amico con gente della stessa età, con persone che affrontano gli stessi problemi anche pratici, tutte quelle cose della sopravvivenza universitaria che insegnano l'arte di arrangiarsi.
Cosa pensa del sistema universitario italiano a numero chiuso e dei test di ammissione?
Non mi piace. Non ho mai dedicato una specifica attenzione al problema ma dire a un giovane «tu no» è una bella responsabilità. Come si fa a rifiutare qualcuno? La storia è piena di compositori bocciati al Conservatorio o scrittori rimandati in italiano.
Il riconoscimento arriva nel giorno della festa dell'autonomia. C'è un legame?
Un legame profondo. L'Europa dei popoli non è una frase. È totalmente diversa dall'Europa degli Stati. E l'Erasmus non è un'iniziativa degli Stati ma delle Università, partita dal basso.

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