«Giù dalla montagna a -30 gradi» Il drammatico racconto sullo Shisha Pangma

Agli 8.027 metri dello Shisha Pangma non sono arrivati, bloccati da una bufera quando la cima era ormai a portata di mano. Adriano Bonmassar e Romano Sebastiani tornano comunque a casa dopo aver vissuto in Himalaya emozioni forti. I due alpinisti sono rientrati in Italia con un volo atterrato ieri sera all’aeroporto di Milano Malpensa.

Ad attenderli i familiari che la settimana scorsa avevano vissuto ore difficili in assenza di notizie dal telefono satellitare, rimasto muto. I siti specializzati, come montagna.tv, sostenevano che Bonmassar e Sebastiani erano bloccati sulla montagna a causa della bufera, con i soccorsi pronti a partire. In realtà i due trentini sono rientrati con le loro gambe al campo base dello Shisha Pangma concludendo, stanchi ma contenti, una discesa in condizioni estreme: temperature polari, vento forte, scarsa visibilità e molta neve fresca.

«Il 12 maggio ci siamo mossi dal campo base diretti alla cima per approfittare di quella che doveva essere una finestra di bel tempo di 4 giorni - racconta al telefono Adriano Bonmassar - il giorno dopo avevamo raggiunto come previsto il campo 2, mentre l’indomani dovevamo arrivare a campo 3, l’ultimo, a 7.300 metri. Da lì l’idea era di partire a mezzanotte per raggiungere la cima». Ma in Himalaya il tempo cambia rapidamente e non sempre le previsioni c’azzeccano.

«A 7.100 metri siamo stati investiti da una bufera che ci ha costretti a piantare la tenda. Speravamo che si trattasse di una turbolenza passeggera e che il giorno dopo avremmo ripreso la salita verso la cima. Purtroppo le condizioni non sono migliorate. Sopra di noi, al campo 3, c’era una spedizione cinese e un alpinista ucraino con degli sherpa. Un ufficiale, che faceva parte della cordata cinese, ha ritenuto che non ci fossero le condizioni per proseguire e ha chiuso la montagna a tutti gli alpinisti presenti. Noi siamo stati avvisati via radio».

Bonmassar e Sebastiani non avevano scelta: non rimaneva che abbandonare il sogno della cima. Sono momenti difficili ma ogni alpinista sa che ci sono occasioni in cui non rimane che voltarsi indietro e scendere.

Il ritorno al campo base non è stata una passeggiata. «Dal campo 2 avanzato - ricorda Bonmassar - siamo partiti verso mezzogiorno, ma ci siamo fermati a quota 6.850 metri perché la visibilità era pessima. Durante la notte il tempo è migliorato: alle 5 del mattino, con temperature di 30 gradi sotto lo zero, abbiamo smontato la tenda riprendendo la discesa. Il rientro è stato impegnativo: abbiamo aperto la traccia perdendo mille metri su tre pendii a 60 gradi pieni di crepacci. Sono situazioni in cui bisogna procedere con cautela. Quando eravamo a circa un’ora e mezza dal campo base abbiamo deciso di piantare la tenda perché ormai era buio. Il mattino del 16 maggio, in completa autonomia, siamo rientrati alla base». E qui i due alpinisti trentini hanno scoperto che si temeva per la loro sorte. L’agenzia ungherese Kalifa aveva diffuso la notizia, non vera, che la cordata trentina era rimasta bloccata in fase di discesa. Era scattato così l’allarme, ma Bonmassar e Sebastiani sono rientrati prima che partissero i soccorsi.

I due alpinisti riportano a casa un bagaglio pieno di emozioni forti. «Abbiamo vissuto anche momenti difficili - dice Bonmassar - ma siamo sempre stati consapevoli che avevamo le capacità tecniche e mentali per affrontare condizioni difficili. Con Romano c’è sempre stata la massima sintonia, ci siamo dati una mano a vicenda. Purtroppo abbiamo vissuto da vicino anche momenti tragici: a campo 1 siamo stati gli ultimi a parlare con Boyan Petrov, alpinista bulgaro con una decina di Ottomila alle spalle. Noi scendevamo perché il tempo volgeva al brutto, lui proseguiva in solitaria perché voleva poi andare sul’Everest». Bonmassar e Sebastiani non immaginavano che stavano dando l’addio all’amico Boyan, morto sullo Shisha Pangma.

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