Caporalato: sfruttavano lavoratori in nero per distribuire in bici volantini pubblicitari

Si vedono spesso, anche a Trento e nelle nostre valli: muniti di vecchie biciclette modello «Graziella», modificate alla bisogna, battono vie e strade carichi di volantini pubblicitari, da lasciare nelle «bussole» delle case.

Un lavoro come tanti, apparentemente, ma che può nascondere realtà di bieco sfruttamento. Come quella portata alla luce da una operazione della Guardia di Finanza (Tenenza di Egna), che ha agito su delega della Procura della Repubblica di Vicenza. Lindagine ha portato alla luce:

  • un fenomeno d’illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro (caporalato) posto in essere mediante comportamenti di prevaricazione nei confronti di numerosi lavoratori;
  • violazioni alle norme di sicurezza e fattispecie di evasione fiscale.


L’attività di controllo ha preso le mosse dal monitoraggio di alcuni lavoratori, soprattutto stranieri, domiciliati sia nella bassa atesina che in altre zone della provincia di Bolzano e di Trento, i quali venivano impiegati per la consegna di volantini pubblicitari «porta a porta». Per gli spostamenti e le consegne, i lavoratori utilizzavano biciclette messe a disposizione dai datori di lavoro.



I preliminari accertamenti effettuati, sia con riferimento agli orari di lavoro che alle anomale modalità di svolgimento del «rapporto» d’impiego, hanno condotto i militari ad eseguire più approfondite indagini, che hanno consentito d’individuare una società (con sede a Vicenza) la quale aveva reclutato un numero elevato di lavoratori, di nazionalità pakistana, indiana e algerina.

I responsabili di tale società, come hanno dimostrato le successive investigazioni, avevano creato un sistema ad hoc, costituito da ulteriori 4 ditte individuali e da 4 società (riconducibili sempre agli stessi soggetti), il cui principale scopo era quello di allargare il proprio giro d’affari mediante l’impiego di manodopera completamente «in nero».
 
Queste società e ditte individuali, tutte operanti nel settore della pianificazione e promozione pubblicitaria, hanno sede nelle province di Vicenza, Trento, Verona e Milano.



I lavoratori, privi di mezzi di sussistenza alternativi e costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie, venivano reclutati, principalmente, nella zona di Rosà (Vi) e trasportati, mediante dei furgoni fatiscenti e insicuri (sovente anche causa di gravi incidenti stradali), sui luoghi di lavoro ubicati in tutto il territorio provinciale.

Erano costretti a lavorare in condizioni indecorose e sotto continua sorveglianza (dal momento che seguivano tragitti prestabiliti), erano «affidati» al controllo di un capo squadra, venivano monitorati tramite sistemi Gps, erano impiegati anche per più di 15 ore al giorno (per sei giorni alla settimana) e percepivano uno stipendio compreso tra i 500 e i 700 euro al mese.



Come se non bastasse, i lavoratori erano sottoposti a continue minacce di licenziamento ovvero di percosse, soprattutto in caso di rivelazione, alle forze dell’ordine, delle reali condizioni di lavoro.

Ai lavoratori in tal modo sfruttati, in alcune circostanze venivano trattenuti i documenti, quali la carta d’identità o il permesso di soggiorno, al fine di mantenere saldo il rapporto di patologica subordinazione e condizionamento psicologico.

Le Fiamme Gialle, dopo un’approfondita attività investigativa,contraddistinta da numerosi riscontri, rilievi e pedinamenti, nonché dall’acquisizione di oltre 50 testimonianze (sia da parte di lavoratori che da altre persone informate sui fatti), hanno deferiton sette persone, tutte residenti a Vicenza), 5 delle quali di nazionalità indiana (S.P. di anni 34; K.K. di anni 38; S.G. di anni 44; K.K. di anni 29 e S.H. di anni 51;) e 2 di nazionalità italiana (P.E. di anni 65 e P.S. di anni 21) in quanto ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di «associazione per delinquere» e di «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro».

Tra le persone individuate spicca la figura di un soggetto che, oltre alle condotte illecite di cui sopra, si è reso responsabile anche del reato di «abusivo esercizio della professione»; reo confesso, fingendosi commercialista iscritto all’Albo, predisponeva la documentazione amministrativo–contabile (tra cui falsi documenti attestanti la regolarità contributiva, fittizie asseverazioni, ecc.), allo scopo di simulare una formale regolarità dei rapporti di lavoro instaurati, quando in realtà gran parte degli addetti era assunta completamente in nero (nel corso delle indagini, ne sono stati scoperti complessivamente 41).

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