Ambulatori dedicati ai migranti In pochi mesi 120 visite

Il diritto alla salute per i migranti è tutelato dalla stessa Costituzione. Eppure a volte si tratta di un percorso ad ostacoli, dove lingua, patologie e cultura diverse contribuiscono a rendere difficoltoso l’accesso ai servizi sanitari. In Trentino, da qualche mese, un gruppo di una sessantina di medici, infermieri e ostetriche dell’Associazione Gris, Gruppo immigrazione salute, forniscono volontariamente e in forma gratuita assistenza di base e ginecologica a richiedenti e titolari di protezione internazionale. Il tutto grazie ad un accordo con l’Azienda sanitaria che ha messo a disposizione ambulatori a Trento e Rovereto.


Di questo, ma anche di aspetti antropologici e psicologici per la promozione
e la tutela del benessere psicofisico dei migranti, si è parlato ieri a Trento nel corso del seminario «Diritto alla salute e flussi migratori» organizzato all’Auditorium dell’Azienda sanitaria da GriS, Medici con l’Africa Cuamm e Centro per la Cooperazione Internazionale.


In Trentino i richiedenti e titolari di protezione internazionale sono attualmente 1.592, 74 in meno dall’inizio dell’anno. Di questi 250 sono donne e 1.342 uomini. Nel primo trimestre 2018 gli arrivi sono stati 44 e le partenze 101, quindi il trend è in calo.
In realtà tutti i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale sono iscritti al Servizio sanitario nazionale e quindi potrebbero accedere agli ambulatori dei medici di medicina generale. Questo, però, avviene di rado. E proprio per evitare un sovraffollamento del Pronto soccorso è stato deciso di attivare la convenzione con questo gruppo di medici e infermieri volontari formati proprio per far fronte ai bisogni dei migranti.


A febbraio 2018 è stato aperto, due giorni a settimana a Trento e Rovereto, un ambulatorio di medicina generale. 64 le visite effettuate in tre mesi. Si tratta soprattutto di visite di controllo legate alla tubercolosi, infezioni delle prime viee aere, dermatiti ma patologie gastrointestinali, cefalee, insonnia, amnesia e certificazioni per pregresse violenze. Sono state infatti più di 140 le certificazioni effettuate negli ultimi 3 anni per violenze subite nel paese d’origine o in Libia di cui gli immigrati portano i segni sul corpo. Non solo segni fisici considerato che il 32% degli uomini e il 67% delle donne vittime di violenza manifestano una condizioni di disagio psichico.


Anche per l’ambulatorio ginecologico, aperto a metà gennaio a Trento e metà febbraio a Rovereto, il lavoro non è mancato. 61 le visite effettuate legate soprattutto ad inizi di gravidanze, infezioni genitali e controlli, irregolarità mestruali, fibromi, richiesta di contraccenzione e richieste di interruzioni volontarie di gravidanza. I punti di forza dell’ambulatorio sono il tempo adeguato che viene dato all’ascolto e alla presa in carico della paziente, ma anche la presenza di mediatori culturali o traduttori. «È importante continuare a organizzare all’interno dei centri di accoglienza incontri di informazione sulla salute, sulla contraccezione programmata o d’urgenza , sulla gravidanza e sull’interruzione volontaria di gravidanza, per conoscere gli operatori e comprendere i bisogni delle donne», ha spiegato la ginecologa Elisabetta Cescatti.


Nel corso del seminario sono intervenuti anche un’antropologa, Ilaria Micheli e un sociologo, Davide Galesi, per spiegare anche l’importanza di aver un approccio con il migrante che non può prescindere dalla sua cultura che può essere anche molto diversa dalla nostra. Per questo - è stato sottolineato durante l’incontro - è importante che anche i medici di medicina generale possano formarsi per offrire risposte adeguate anche ai loro assistiti stranieri.

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