Lorenzo Dellai, la sconfitta «Non gli lasceremo anche il Trentino»

«Una cosa è certa. Faremo di tutto per non lasciare anche il governo del Trentino in mano a questi qui». L’ex governatore Lorenzo Dellai, dopo la sconfitta elettorale nel collegio della Valsugana - la prima nella sua quasi trentennale storia politica - invece di ritirarsi in buon ordine, dopo aver chiuso l’ufficio romano di deputato, è determinato a continuare a fare politica in Trentino, in vista delle elezioni provinciali di ottobre, anche se - per ora - conferma di non avere intenzione di ricandidarsi.

Onorevole Dellai, dopo qualche giorno dalla batosta elettorale, che spiegazione si sta dando delle ragioni della sconfitta?
Mah, come ho già detto, da venerdì (domani per chi legge, Ndr,) inizierò il mio giro nel collegio, ogni due giorni, per qualche settimana, per capire le ragioni profonde di questo voto, dopo una legnata del genere. Molti colleghi a Roma erano come me increduli che il Trentino si sia omologato in questo modo - quasi senza combattere al trend nazionale. Io una spiegazione non ce l’ho, perché è vero che ero un po’ pessimista, ma per il mio collegio, non per tutti i collegi, e non in queste dimensioni. È il dato generalizzato che colpisce. E questo vuol dire che c’è stato un cedimento strutturale non un incidente di percorso.

Ma perché torna in pista? Si prepara per le elezioni provinciali?
Io non ho obiettivi personali di alcuna natura; ho già avuto tanto dalla politica, non è questo che mi induce a capire. Ma non voglio vedere naufragare tutto quello per cui abbiamo lavorato dagli anni ’90 in poi, eredi di una tradizione, perché non ce la siamo inventata noi l’«anomalia trentina». Il centrosinistra in Trentino c’era già ai tempi di Kessler. Se non si è anomali anche politicamente non si è autonomi, per questo siamo sempre stati innovatori. Io voglio capire cosa è successo. Il messaggio di domenica è di grande allarme perché è generalizzato e trasversale; è venuto avanti quasi senza che ce ne accorgessimo e questo vuol dire che non abbiamo più le antenne di una volta e dunque c’è una ragione molto profonda. Ci stiamo padanizzando, allontanandoci sempre di più da Bolzano. I mondi vitali della società trentina sono sempre più indifferenti alla politica.

Cosa dovrebbe fare ora il centrosinistra autonomista per risalire la china?
Non spetta a me dare indicazioni per il futuro, ma prima di immaginare ricette e strategie ritengo che sia un segno di grande umiltà riflettere, ascoltare e cercare di capire gli elettori quando votano contro di noi e poi decidere.

Sul piano politico, con il senno di poi pensa che la lista Civica popolare con Lorenzin sia stato un errore?
Civica popolare è stato un primo tentativo per rappresentare una cultura politica. Sapevamo che sarebbe stato difficilissimo. Persino Bonino, che aveva la copertura mediatica quasi di un primo ministro ed era tirata dal Pd, non è riuscita a fare il 3%, vuol dire che costruire una coalizione nel giro di due settimane dopo che per anni si era lavorato in altra direzione era impossibile. Però andava fatto. Comunque abbiamo dato un nostro piccolo contributo e non abbiamo lasciato il Pd da solo, perché il Pd sta pagando molto più dei suoi demeriti. È diventato il parafulmine dell’Italia che non è in pace con se stessa, che al sud vota 5 Stelle per il reddito di cittadinanza e al nord la Lega perché parla contro gli stranieri e promette la flat tax. Il Pd paga l’aver predicato per anni risanamento, equilibrio, stabilità, tutte cose fatte forse senza il calore popolare che serviva, ma che andavano fatte. Non siamo andati a cercare posti sicuri nella barca del Pd, abbiamo fatto con dignità il nostro percorso. Ora il futuro è tutto da disegnare. Non sono d’accordo con chi dice che dobbiamo fare un governo con i 5 Stelle.

Il Pd deve restare all’opposizione?
Sì. I due vincitori sono Salvini e Di Maio e penso che tocchi a loro fare un governo, perché la democrazia esige questo. Tocca alle forze democratiche e popolari un periodo di ripensamento e riorganizzazione e bisogna farlo fuori dal governo, rifiutandoci di considerare i 5 Stelle i «nuovi signori della sinistra italiana», come qualcuno ha detto. Hanno fatto con la Lega tutta la campagna elettorale violenta contro i valori del centrosinistra, quindi si mettano d’accordo tra loro. Sono vicini per cultura: antieuropeisti, individualisti, populisti. Non dobbiamo farci fagocitare nel governo del populismo che porterà male all’Italia. La scorciatoia del patto Pd-grillini mi sembra la fine della cultura di centrosinistra italiana, anzi una politica modello «sindrome di Stoccolma».

Il centrosinistra cosa dovrebbe fare?
Il Pd non è il nuovo partito che si pensava. Serve una nuova forma partito modello Ulivo 4.0, una sorta di rassemblement delle culture democratiche e popolari che si devono rigenerare, perché il vecchio modello di democrazia ha ceduto. Si deve fare un percorso nella comunità per ricostruire il progetto.

L’Upt si è dissolta, se ne sente responsabile?
L’Upt era nei guai prima e lo è anche dopo le elezioni. Quello che vale a livello nazionale vale anche da noi. Purtroppo, non si è fatto dal congresso Upt in poi quello che andava fatto, oggi è necessario.

Che cos’è? La costituente con i civici?
Quella era una proposta di due anni fa, oggi rischia di essere un pochino fragile.

Meglio guardare al Pd?
Non ho detto questo e non ho ricette, mi pare poi che anche il Pd non sia nelle condizioni più smaglianti. Non è come quando i pugili suonati si aggrappano l’uno all’altro per stare in piedi: il tema è fare il ripensamento globale che volevamo tre anni fa. Ora va fatto in modo accelerato. Mi auguro che il giro che io ho deciso di fare come candidato che ha perso lo facciano anche gli altri per capire cosa fare insieme. Dobbiamo riuscire a recuperare un mondo che oggi non è rappresentato.

Il presidente Rossi ricorda che le elezioni provinciali sono diverse da quelle nazionali e i voti torneranno come nel 2008. È così?
A me pare che questa volta i fenomeni siano molto più radicali e diffusi sul territorio. Nel 2008 in alcune realtà avevamo resistito. Ora questo processo mi sembra più profondo e dentro la società trentina. Dobbiamo capirlo per tempo per mettere in campo qualche linea di difesa.

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