Sorrisi in corsia: è la clownterapia In Trentino cento persone tra ospedali e case di riposo

di Daniele Benfanti

Un centinaio di angeli in camice bianco e faccia da clown. Allegramente sfrontati e goffamente timidi, come solo i clown sanno essere. Non si pensi - come loro mentore e ispiratore - solo a Patch Adams, il medico americano che già da studente si intrufolava in corsia per far ridere i pazienti, universalmente noto come l’inventore della clownterapia, protagonista anche di un film, vent’anni fa, impersonato da Robin Williams. Già nell’antica Grecia si era capito che ridere e sorridere fa bene alla salute. Ne parla anche Ippocrate. E c’erano delle figure femminili che si occupavano proprio di questo. Per non parlare, poi, dei giullari medievali e rinascimentali. E la vera paternità della clownterapia, peraltro, molti la attribuiscono all’americano Michael Christensen, che mise a disposizione del fratello malato Kenneth tutto il proprio repertorio di arti circensi da strada imparate in mezza Europa e che nel 1985 fondò la «Clown Care Unit». In Trentino sono attivi dal 2007 in seno alla Croce Rossa, ma non sono l’unica realtà presente. 

Se il clown tradizionale, quello con il naso rosso, la faccia dipinta, le scarpe spaiate, calzetti e vestiti multicolore lo immaginiamo d’istinto al maschile, gli operatori di clownterapia della Croce Rossa Italiana del Trentino, circa un centinaio, sono all’80% al femminile. Le azioni di cura, la sensibilità, l’empatia tipicamente femminili, concorrono a fare di questa figura di importante impatto socio-relazionale, un settore a maggioranza rosa. «Lavoriamo in coppia - spiega Marina Mosna, di Trento, in Croce Rossa dal 2007, referente dei circa cento Clown di corsia trentini - proprio perché il clown ha un’anima doppia: fa leva sulle proprie disgrazie, è serioso e giocherellone al tempo stesso».  

La formazione è molto qualificata: «Psicologia, mimica, giocoleria - precisa ancora Marina Mosna - Servono 50 ore di formazione, più 20 di tirocinio per il primo grado di operatori del sorriso. Un corso avanzato permette di diventare clown-dottori: in Trentino sono dodici. Poi facciamo ogni mese almeno due serate di aggiornamento. Ad esempio con esercizi di improvvisazione». Il clown nasce dal circo, con una fusione di elementi provenienti dal teatro di strada e dal mondo della prestidigitazione. La sua indole di malinconia allegra e buffa porta in dote un mix di buonumore, bizzarria e comicità. «Quando nasci come clown - aggiunge Mosna - come personaggio clown, intendo, devi darti un’identità precisa. Io sono “Fontanella”, ad esempio. Non sono Marina, divento asessuata, rappresento un mondo fantastico. Entrando nel personaggio, devi anche prepararti al dolore che vedrai, ai rifiuti che riceverai». 

La risata fa bene. Attiva tutto il corpo. Dà beneficio alla circolazione sanguigna, alla pressione arteriosa, al cuore, alla respirazione. Attiva endorfine e ormoni antistress. E il buon umore e la fiducia che una risata regalano rafforzano le difese umanitarie. Senza tenere conto che non si ride quasi mai da soli, quindi la risata è un elemento di relazione positiva. La terapia del sorriso è considerata olistica, ovvero completa.  

La clownterapia si esercita in ospedali, reparti pediatrici, case di riposo, centri diurni, centri di accoglienza. Destinatari degli interventi non sono solo i bambini. Ma anche anziani e adulti, ora anche i migranti. La missione di clown-terapista è più sentita nelle valli che in città: «Nelle valli c’è più spinta, gli stessi nuclei di volontari della Croce Rossa sono più compatti e si conoscono meglio. Trento e Rovereto sono più dispersive. Io nel 2009, dopo due anni in Croce rossa, ho conosciuto persone che lo facevano, ho aderito al reclutamento, mi sentivo di avere l’indole adatta».

L'INTERVISTA

Le donne sanno mettersi di più in discussione. Sperimentare, aiutare. Mettersi in gioco. Cristina Adami, 40 anni, di Besenello, è direttrice di corso, clown-dottore responsabile dei corsi di formazione per clown di corsia della Croce rossa trentina.

Cristina, ci racconta le tappe principali della sua storia?
Dall’età di un anno e fino ai 20 sono stata una bambina e una ragazza ospedalizzata. In grandi ospedali pediatrici fuori regione. Di quell’esperienza mi è rimasto vivo il ricordo dell’odore di disinfettante, il freddo delle piastrelle, l’ambiente asettico, le architetture bianche tipiche degli anni settanta, le sbarre di ferro intorno al mio lettino. Nel corridoio ricordo un grande pagliaccio appeso. Io fantasticavo che questo pagliaccio, a dire il vero anche un po’ spaventoso, scendesse dalla parete e mi portasse a casa. E dicevo a tutti che da grande avrei voluto fare il clown.
Come si è realizzato, allora, quel sogno?
Oggi sono una dipendente pubblica. Ho fatto studi nel sociale. Sono entrata in Croce Rossa nel 2010, proprio con questo obiettivo, anche se faccio, naturalmente, anche gli altri servizi classici di questo tipo di volontariato.
Qual è la forza della cosiddetta clownterapia?
È un supporto alla medicina tradizionale. Le tecniche di clownerie permettono di creare una relazione positiva con i pazienti. Lavoriamo in coppia perché se sei da solo la comicità non scatta, sei un semplice animatore. Nel nostro percorso coinvolgiamo tutti: il personale medico e assistenziale, i familiari.
Vi chiamano o vi proponete voi nelle strutture?
Funziona tantissimo il passaparola. Se un bambino è stato meglio grazie al nostro intervento, genitori, parenti, medici, caposala si attivano per chiamarci e allargare gli interventi.
C’è da mettere in conto, naturalmente, anche il rifiuto…
Certo. Nei nostri corsi di specializzazione studiamo anche la cosiddetta «gestione del fiasco». La maschera può spaventare il paziente, il dolore e la sofferenza possono essere un forte ostacolo alle risorse relazionali, alcuni anziani possono sentirsi in qualche modo presi in giro. Noi usiamo la delicatezza. Eventualmente nel nostro giro di visite riproviamo con un intervento soft: due bolle, un palloncino. La porta magari non si spalanca, ma non resta nemmeno chiusa.
Prossimi corsi?
Il prossimo è in programma a marzo a Rovereto. Quando abbiamo almeno 15 volontari della Croce Rossa disponibili, partiamo. Poi, a ognuno è chiesta la disponibilità per almeno un intervento al mese.

IN TRENTINO 

Diversi gruppi operativi riuniscono i tanti volontari di questa galassia del sorriso con la croce rossa sul petto.
A Trento ci sono i «Maggiolini». Sono i primi che hanno fatto formazione a Trento. I corsi della Croce Rossa sono oggi molto strutturati a livello nazionale. Ci sono i direttori di corso e un aggiornamento continuo. I primi docenti di clownterapia in Trentino, una dozzina di anni fa, arrivavano da Bologna e Verona. Oggi ci sono corsi autonomi. I Maggiolini sono attivi nelle corsie dei reparti pediatrici di Chirurgia e Medicina dell’ospedale Santa Chiara di Trento, nelle Rsa di Cadine, Pergine, Grigno, Brentonico, nel progetto «Gaia» con persone con disabilità.
A Lavis il gruppo si chiama «Angeli Birichini» e opera in ospedali, ambulatori pediatrici, case di riposo. Me.Di.Co. è l’acronimo che per anni ha raggruppato i volontari della Croce Rossa di Mezzocorona, Dimaro e Coredo impegnati nella clownterapia.
Gli «Strappasorrisi» sono quelli di Arco, attivi all’ospedale e in casa di riposo.
I «Braciacoi», che significa «abbracci», sono gli operatori della Val di Fassa e Fiemme: gruppo nato tre anni fa. Un altro termine dialettale dà il nome ai clown volontari della Cri attivi nelle Giudicarie e in Val di Ledro. Si chiamano «Cò Vot» (Cosa vuoi?). Sono nati a Tione e Condino. Si ritrovano a Tione. Sono attivi nelle case di riposo e in centri Anffas della valle e collaborano anche con le Terme di Comano e i suoi piccoli ospiti.

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