Sfreccia in auto in ospedale Giudice: «Multa va tolta»

di Flavia Pedrini

Si stava recando all'ospedale Santa Chiara di Trento per sottoporsi alla prima seduta di radioterapia. Il paziente, temendo di arrivare tardi, ha pigiato il piede sull'acceleratore, rimediando così una multa salata per eccesso di velocità. Un verbale da 362,05 euro, che l'uomo, affetto da una grave patologia, ha impugnato davanti al giudice, spiegando di avere agito per uno stato di necessità, ovvero temendo di perdere una terapia salvavita. Una tesi che il giudice di pace di Borgo Valsugana ha accolto: verbale annullato e Commissario del governo condannato a rimborsare al ricorrente la spesa del contributo unificato. 

La vicenda finita in tribunale risale all'estate del 2016. L'automobilista, proveniente da fuori regione, quel giorno si era messo in macchina diretto a Trento per una trasferta dettata da ragioni di salute. 
Doveva raggiungere infatti l'ospedale Santa Chiara per iniziare un ciclo di radioterapia oncologica. Percorrendo la statale della Valsugana, nel comune di Grigno, era incappato in un controllo della velocità. In quel tratto, con un limite di 90 chilometri orari, la macchina era transitata ad una velocità di 107,35 chilometri orari, dunque 17,35 chilometri oltre il limite. Era dunque scattato il verbale per violazione dell'articolo 142, comma 8, del Codice della strada (chiunque supera di oltre 10 chilometri orari e di non oltre 40 i limiti massimi di velocità è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 169 a euro 680), al quale aveva fatto poi seguito il verbale di ingiunzione notificatogli nell'aprile del 2017, con la richiesta di pagare 362,05 euro.  

Ma l'automobilista, come detto, ha deciso di presentare opposizione all'ordinanza davanti al giudice di pace di Borgo Valsugana, mentre l'amministrazione si è costituita in giudizio insistendo sulla legittimità del provvedimento impugnato.
ll ricorrente, come ricostruisce il magistrato, ha spiegato che si stava recando all'ospedale Santa Chiara di Trento per iniziare un ciclo di radioterapia continuativo salvavita e che aveva violato il limite di velocità temendo che, arrivando in ritardo, non avrebbe potuto sottoporsi al trattamento che era indispensabile per la salvezza della propria vita. 
Inoltre, aveva spiegato che - pure risiedendo fuori provincia - aveva deciso di recarsi all'ospedale del nostro capoluogo poiché dotato di un macchinario capace di garantire, in poche sedute, un effetto superiore rispetto a quello che si sarebbe potuto ottenere presso altre strutture sanitarie.  

«Quanto dedotto - scrive il giudice - trova riscontro nella documentazione dallo stesso prodotta, non contestata da parte convenuta, rilasciata dall'Azienda provinciale per i Servizi sanitari, Ospedale di Trento, presidio ospedaliero Santa Chiara, U.O. Radioterapia oncologica, in cui si attesta effettivamente che quel giorno l'odierno ricorrente, affetto da grave patologia, avrebbe dovuto iniziare un trattamento radioterapico di dieci sedute e che si trattasse di una terapia salvavita».
Dunque il giudice ha ritenuto che sussistesse l'esimente dell'avere agito per uno stato di necessità, ovvero quando il fatto sia stato commesso «perché necessario per salvare sé od altri da un'effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non volontariamente causato né altrimenti evitabile, ovvero nell'erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, provocata da circostanze concrete che la giustifichino». 
Da qui la decisione del giudice di accogliere il ricorso e annullare l'ordinanza ingiunzione, oltre a condannare il Commissario del Governo a pagare al ricorrente i 43 euro, somma pari al rimborso della spesa del contributo unificato.

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