Malato di Sla messo in cassa integrazione Caramelle: «I vertici Sait potevano evitarlo»

di Francesco Terreri

Il segretario della Filcams Cgil Roland Caramelle è nell'atrio della sede Sait all'interporto, in attesa di capire l'esito della votazione sull'accordo sui licenziamenti. In quel momento, sono le 15 di ieri, la Filcams è ancora orientata a dire no. Più avanti nella giornata, spinta dal risultato del referendum che vede prevalere i sì, anche il sindacato del commercio della Cgil firmerà l'accordo. Caramelle sta raccontando al cronista dell' Adige quello che a lui pare il caso limite, il simbolo dell'inaccettabilità delle condizioni dell'azienda: tra i lavoratori Sait in cassa integrazione c'è un malato di Sla, oltretutto da poco premiato per i trent'anni di lavoro nell'azienda. 

In quel momento passa il presidente del Sait Renato Dalpalù . «Stavo parlando del malato di Sla che avete messo in cassa integrazione e che potrebbe essere licenziato - gli dice Caramelle - Almeno questa potevate risparmiarvela!». Dalpalù sa bene di chi si parla. «È un dipendente che non dovrebbe più lavorare, non ce la fa più. Ma non siamo ancora riusciti a trovare una soluzione». Caramelle incalza: «Però intanto lo avete messo in cassa integrazione e lui certamente i parametri di produttività non li rispetta». 

Caramelle è uno che vive il sindacalismo con passione. «Quando non si trovano soluzioni, la gente perde il lavoro o sono costretto a firmare il meno peggio, sto male fisicamente» confessa. È pressato da telefonate della Cgil, la sua confederazione, perché raggiunga l'accordo sul Sait: per quanti dubbi rimangano, non ci si può permettere di rinunciare al dimezzamento dei licenziamenti. I suoi colleghi della Cisl e della Uil, Lamberto Avanzo e Walter Largher , sono più realisti: le trattative si fanno per raggiungere un compromesso, non si può ottenere il 100% di quello che si vorrebbe. Anche Caramelle lo sa, ma ci sta male. 

«Potrei chiudere questa vicenda come un successo della Filcams - dice - Siamo noi ad aver parlato di 60 esuberi, anche se in base ad un calcolo diverso. Se non ci fossimo impuntati sui criteri di scelta dei licenziati, quelli discrezionali sarebbero stati molto più elevati. Siamo stati i primi a voler discutere di produttività nel vecchio contratto integrativo». Ma Caramelle sostiene che questo tipo di successi non gli interessano. «Quello che emerge è che i lavoratori Sait sono sfiduciati, hanno paura, si sentono merce in svendita. Non c'è un piano di rilancio del Consorzio, le proposte della direzione appaiono solo ricatti occupazionali che dividono i lavoratori. C'è una forte divisione, ognuno pensa per sé». 

Caramelle è accusato di avere posizioni ideologiche. «Se per ideologia si intende la preoccupazione per le divisioni tra i lavoratori, per il rischio che lavoratori deboli perdano il lavoro, per le prospettive dell'azienda, allora ci vuole». Il segretario della Filcams, peraltro, ha fatto accordi sulla produttività con Dao anche più impegnativi di questo con Sait. «In Dao si vede una visione, una strategia che in Sait non trovo». La Cooperazione è intervenuta con un piano sociale. «Lo abbiamo chiesto con forza, alla fine la Federazione ha buttato lì un pacchetto senza discuterne con le organizzazioni sindacali. Sono proposte ancora deboli. Ad esempio, che lavoro faranno i licenziati Sait ricollocati? Sarà considerata la loro professionalità?». Alla fine però sull'accordo c'è la firma della Filcams: 116 licenziamenti sarebbe stato peggio.

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