Penasa ucciso per un tragico errore L'amico lo ha scambiato per un cervo

di Flavia Pedrini

Non un colpo partito accidentalmente, ma un tragico errore di valutazione. Il colpo che ha ucciso, lunedì sera in val Rendena, il settantenne di Verdesina Michele Penasa era indirizzato ad un cervo nelle intenzioni di Luigi Da Rin D’Iseppo, il cinquantatreenne rendenese che ha premuto il grilletto. E si trova ora a piangere un amico e a doversi difendere da un’accusa di omicidio colposo.

La ricostruzione di quanto avvenuto attorno alle 20 dell’altro ieri, curata dai carabinieri della compagnia di Riva del Garda e dai militari del nucleo investigativo provinciale è precisa, anche grazie alla testimonianza dello stesso Da Rin D’Iseppo e dell’altro cacciatore che era con lui e la vittima: entrambi sono stati sentiti a lungo nella notte tra lunedì e ieri, lasciando la caserma dell’Arma di Tione - nella quale sono entrati in piena notte dopo aver lasciato il luogo della disgrazia - solo dopo le 5.

Dopo aver raggiunto separatamente la zona sopra l’abitato di Vigo Rendena nel tardo pomeriggio, i tre cacciatori si sono ritrovati poco a valle di malga Calvera mettendosi sulle tracce di un esemplare di cervo, dopo che un’altra uscita, al mattino, non era andata a buon fine.
Penasa si è allontanato, con i due amici che, al momento dell’incidente, erano certi si trovasse da tutt’altra parte rispetto a quel gruppo di betulle e noccioli al limitare di un prato in pendenza, nei pressi di una baita in pietra.

Quanto il cacciatore che ha sparato a Penasa ha imbracciato la sua carabina, infatti, era certo di puntare un cervo. Assieme all’altro amico avevano sentito un rumore arrivare da quel gruppo di alberi, scorgendo poi una sagoma muoversi.

Quando la coppia di cacciatori ha creduto di aver di fronte a sé un animale, era già quasi completamente buio: erano le 20 e la giornata era stata caratterizzata dal maltempo, con meno luce di quella che - a metà settembre - è già ormai scarsa a quell’ora.

Di fronte alla certezza di essere solo, con l’altro cacciatore al suo fianco e Penasa altrove, l’autore del colpo ha sparato: un colpo solo, da una distanza di una sessantina di metri dall’obiettivo. Solo una volta raggiunto il gruppo di alberi, il dramma è apparso in tutta la sua gravità.
A nulla è valsa la tempestività con cui i due cacciatori hanno allertato i soccorsi e nemmeno la premura con cui personalmente hanno tentato di portare in prima persona le prime cure al settantenne: quando i sanitari sono riusciti a raggiungere la località Calvera, le condizioni di Penasa erano già gravissime ed i ripetuti tentativi di rianimarlo sono stati vani. Straziante l’arrivo in quota di uno dei tre figli dell’uomo, impegnato nel suo locale al momento dell’incidente. Il grembiule sporco di sangue con il quale ha stretto a sé il genitore è rimasto su un davanzale della baita, a pochi passi da dove Penasa è caduto a terra dopo essere stato ferito dal proiettile.

A stroncare l’ex guardiacaccia originario della val di Rabbi è stata l’emorragia provocata dal colpo ricevuto, con il proiettile partito dalla carabina di Da Rin D’Iseppo che ha raggiunto la vittima poco sopra l’ombelico, in pieno ventre.

Anche se, nella loro tragicità, le cause del decesso dell’anziano sembrano chiare, l’autorità giudiziaria ha comunque disposto l’autopsia sulla salma di Michele Penasa: per questo ieri è stata trasferita dalla val Rendena al capoluogo. Riposa al momento nelle camere mortuarie del civico cimitero di via Giusti in attesa di essere trasferita all’ospedale Santa Chiara dove concretamente verrà effettuato l’esame autoptico.


 

INCHIESTA PER OMICIDIO COLPOSO

La procura di Trento ha aperto un’inchiesta sull’incidente mortale.

Il fascicolo, nelle mani del procuratore capo Marco Gallina, è stato aperto per omicidio colposo. Scontata l’iscrizione nel registro degli indagati del cacciatore che ha esploso il colpo mortale,  Luigi Da Rin D’Iseppo, 53 anni, di Darè, disperato per quanto è successo. L’uomo, difeso dall’avvocato Mauro Bondi, potrà così chiarire la sua posizione.


 

«SE NON SI È SICURI NON SI SPARA»

Il presidente dell’Associazione cacciatori trentini, Carlo Pezzato, ha appreso della tragica morte di Michele Penasa lunedì sera e ha voluto subito esprimere vicinanza alla famiglia di Michele Penasa. La morte del guardiacaccia ha scosso l’intero mondo venatorio. «Ci sentiamo esterrefatti e impotenti», dice, sottolineando l’impegno costante dell’Associazione per evitare che simili tragedie possano accadere.

Presidente, la vittima, secondo la ricostruzione, sarebbe stata scambiata per un ungulato. Un tragico errore, dunque.

«Di questa ricostruzione io non ho comunicazioni ufficiali. Non c’è dubbio che, se questa è la ricostruzione, si tratta davvero di un enorme errore commesso da parte del cacciatore che stava aspettando il cervo. Diventa difficile capire come un cacciatore esperto, come lo era questa persona fatalmente coinvolta nell’incidente, possa avere “scambiato” questa figura umana per un animale selvatico».

L’incidente è successo verso le 20. La minore visibilità serale può avere tratto in inganno il cacciatore?

«Questo elemento sicuramente ha giocato un ruolo, erano le 20. Non conosco le condizioni meteo sul posto né dell’ambiente, ma le condizioni di illuminazione alle 20 iniziano ad essere un po’ critiche. Ma questo non giustifica quanto successo».

Presidente, al di là di questo drammatico caso, ci sono raccomandazioni generali da fare per chi va a caccia?

«Le raccomandazioni si fanno fin dal primo giorno in cui uno ha la licenza di porto di fucile. E sono quelle di verificare, prima di imbracciare il fucile, che tipo di selvatico abbiamo davanti, la distanza e una serie di fattori, proprio per non essere indotti in errori di questo genere. Ma potrebbero essere errori anche meno gravi, come scambiare una specie per un’altra. Se cerco una specie e non la riconosco, ho il dovere di non sparare. E lo stesso vale quando non si ha una visione precisa: bisogna astenersi dal premere il grilletto».

Sparo a 50-60 metri.

«Pochi per chi fa caccia di ungulati, le distanze massime di tiro sono di 300-400 metri. Se quella era la distanza a maggiore ragione il fattore luminosità deve avere giocato in negativo».

Tutta la comunità venatoria è stata colpita da questi fatti tragici.

«Sì, toccano tutta la comunità, perché sono incomprensibili. Non abbiamo a che fare con un cacciatore alle prime esperienze, ma con cacciatori con decenni di esperienza, che non hanno mai avuto problemi né sanzioni. Purtroppo è successo l’imponderabile».

Cosa si può fare, ancora, in termini di prevenzione?

«Il livello di attenzione è alto, anche se la formazione è sempre migliorabile. L’attenzione dell’Associazione per la sicurezza è sempre stata molto alta. Di fronte a episodi così si rimane esterrefatti e impotenti».

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