Montagna, è morto Armando Aste «L'alpinismo non è una professione»

Si è spento ieri a 91 anni Armando Aste, uno dei massimi alpinisti italiani del dopoguerra.

Uomo schivo e modesto, aveva concentrato la sua attività alpinistica soprattutto nelle Dolomiti, dove nel corso della sua carriera aveva compiuto diverse prime ascensioni assolute, prime invernali e solitarie di altissimo livello, concentrandosi peraltro su pareti di grandissima difficoltà. Rappresentava una leggenda per i giovani scalatori. Per lui l'alpinista è «un cercatore di infinito, perché la montagna ci indica che qualcosa "oltre" c'è»,

Accademico del Cai, del quale era anche socio onorario, Aste faceva parte del Gruppo italiano scrittori di montagna ed aveva deciso di non fare dell'alpinismo una professione. Tra le sue imprese più significative è impossibile non citare la prima salita solitaria della via Couzy nel 1960, sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, la prima solitaria della via Brandler-Hasse sulla parete Rossa della Roda di Vael nel Catinaccio, la prima soliaria della via Graffer-Miotto sullo Spallone del Campanil Basso di Brenta con la variante Poli-Trenti e discesa per la via Preuss, senza dimenticare la via Dell'Ideale - una delle più impegnative delle Dolomiti - sulla parete Sud della Marmolada.

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Nelle Ande Patagoniche aveva conquistato la Torre Sud del Paine (Cile), seguendo un itinerario di difficoltà eccezionale. Armando Aste - figlio di un contadino e di una zigherana della Manifattura Tabacchi di Rovereto - nacque a Isera il giorno dell'Epifania del 1926. Fu dalle pendici del Monte Biaena, dove c'è la guglia di Castelcorno, che il giovane Aste scoprì una palestra di roccia ideale.

Di nascosto, osservò alcuni giovani che sul Castelcorno andavano ad arrampicare. La passione per la roccia lo catturò immediatamente e dunque si impegnò - da autodidatta - guardando da subito al Brenta, per lui facilmente raggiungibile in bicicletta da casa. «Ero tutto nervi, di un'agilità naturale e mi sentivo tagliato per la roccia» aveva confessato alla scrittrice Patrizia Belli.

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