«Metti una bomba a Rialto» Fermata cellula jihadista

In dodici secondi, alle quattro di mattina, vicino a Piazza San Marco, le squadre speciali dei carabinieri e della Polizia, Gis e Nocs, hanno bloccato in casa quattro kosovari accusati di aver dato vita a una presunta cellula jihadista.

In un dialogo tra due di loro si parla di un attentato possibile al Ponte di Rialto «per guadagnarsi il Paradiso». Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha parlato di un «ottimo lavoro» da parte di Polizia e Carabinieri che hanno raggiunto «un importante risultato di prevenzione antiterrorismo».

Il blitz è scattato in due case nel cuore di Venezia - «mi sono trovato un carabiniere con passamontagna» ha raccontato un ignaro residente - e ha chiuso l’indagine cominciata oltre un anno fa quando gli investigatori hanno puntato l’attenzione su due del gruppetto, Fisnik Bekaj, 25 anni, e Dake Haziraj (26), regolari in Italia e camerieri.

Quest’ultimo aveva minacciato il suo datore di lavoro e c’era il sospetto che potessero avere armi. Da questo «piccolo episodio», come l’ha definito il procuratore reggente Adelchi D’Ippolito, le indagini congiunte dei carabinieri e della polizia hanno fatto emergere una realtà legata al credo dell’Isis, al proselitismo e alla preparazione fisica e teorica per compiere «azioni».

«Questa notte - ha detto il magistrato - sono stati assicurati alla giustizia quattro terroristi veramente pericolosi, che stavano progettando una serie di attentati in Italia e all’estero», ricordando che in un dialogo due parlano di una bomba sul Ponte di Rialto.

«A Venezia - dice uno - guadagni subito il Paradiso per quanti miscredenti ci sono. Metti una bomba a Rialto» e l’altro, «buttarla e fa bum bum». In carcere, oltre ai due, anche Arjan Babaj, 28 anni, che avrebbe svolto una funzione di guida spirituale ed istigatore a commettere reati, mentre un diciassettenne è stato posto in fermo di Pg. Per tutti, l’accusa è di associazione finalizzata all’adesione all’Isis per compiere azioni all’estero, in particolare in Siria, e in Italia.
Ai quattro i militari del reparto operativo e gli agenti della Digos sono arrivati grazie ad una indagine sul campo, a controlli sui social, a intercettazioni telefoniche ed ambientali. È risultato che erano impegnati - come ha detto D’Ippolito - in una vera e propria «attività di addestramento».

Ore di video jihadista per imparare l’uso dei coltelli per uccidere - «in maniera scientifica, quasi medica» è il commento degli investigatori - o simulazioni per confezionare in casa esplosivi. «Da parte di tutti - ha aggiunto il procuratore - c’era una grande adesione all’ideologia dell’Isis e ai recenti attentati, come quello di Londra del 22 marzo scorso». «Non vedo l’ora di giurare ad Allah - dice uno dei tre -. Se mi fanno fare il giuramento sono già pronto a morire».

Se adesso si apre anche la fase dell’analisi del materiale sequestrato in casa degli arrestati e degli indagati - trovate pistole che non si sa se giocattolo o meno - immediata è scattata la polemica politica con il leader della Lega Matteo Salvini convinto che è «necessario blindare i confini del Paese, sigillarli e controllare chi entra e chi esce perchè domani potrebbe essere troppo tardi», al quale ha risposto il presidente dei deputati del Pd, Ettore Rosato, secondo il quale Salvini non dovrebbe «strumentalizzare alimentando timori e paure sperando in qualche consenso in più».

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Intercettazioni, guarda il video:

 

 

 

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