Parla l'investitore del dottor Fabio Cappelletti «Chiedo scusa, non sono un delinquente»

di Marica Viganò

«Ho chiesto scusa alla famiglia del dottor Cappelletti. So che ciò non servirà a rimediare la situazione, però era un gesto che mi sentivo di fare. Ma non chiamatemi delinquente: ho fatto di tutto per evitare quella bici. Poi sono stato colto dal panico perché viaggiavo senza patente e senza assicurazione».
Non nasconde le sue colpe l’uomo di 42 anni di Mezzocorona accusato di omicidio stradale e di omissione di soccorso per la morte del dottor Fabio Cappelletti, 62 anni, conosciutissimo e stimato medico di base ed omeopata di San Michele all’Adige.

«Conoscevo il medico e quando ho appreso ciò che era accaduto sono stato malissimo», aggiunge.
 Parla con il nostro giornale, perché «è giusto sapere come stanno le cose». Ammette: «È vero, ho provato a nascondere l’accaduto, ho mentito. Ma ho una coscienza e ho confessato tutto. Chiedo perdono, ma non sono un delinquente».

Lunedì scorso l’incidente, la fuga, poi il tentativo di nascondere l’accaduto e la confessione sabato notte in questura. È stata una settimana travagliata per lei...

«Sì, parecchio travagliata. Conoscevo il medico deceduto. Era medico di mia madre, che è invalida al 100%. Il dottor Cappelletti non era nostro medico di base, ma andavamo da lui per le iniezioni, perché era molto bravo. Mi chiedeva sempre come andava con il lavoro. L’ultima volta che siamo andati da lui non è stato più di un mese fa. C’era un rapporto di amicizia. Quando ho saputo cosa era accaduto, sono stato malissimo».

Lei non si era accorto dell’incidente?

«Sì, mi sono accorto della bicicletta che attraversava e ho fatto di tutto per evitarla. L’ho vista negli ultimi metri. Quella zona non è illuminata è al buio. L’uomo in bici vestiva un vestito scuro, ma non lo dico per giustificarmi. Ho frenato e la mia macchina non avendo l’Abs ha iniziato a slittare».

Si ricorda se andava veloce?

«Non andavo veloce. Facevo i 40 all’ora. Ero appena partito dallo stop al ponte di San Michele. Ho svoltato a sinistra e c’era traffico, perché ricordo che avevo alcune auto davanti, piovigginava e non si poteva correre. Stavo andando in farmacia a prendere i medicinali per mia madre. Mi sono accorto di aver urtato la ruota posteriore della bici. Quando ho ripreso il controllo dell’auto, che slittava, ho guardato nello specchietto retrovisore e ho visto il signore della bicicletta che si stava rialzando. Come ho dichiarato alla polizia, ho frenato e cercato subito istintivamente di fermarmi. Ho messo la freccia a sinistra per svoltare e fatto i fari alle auto che arrivavano in senso opposto. Ma c’era traffico, un’auto attaccata all’altra e non ho avuto la possibilità di girare né all’altezza della pizzeria, né all’Agip, né al Mercatone. Continuavo ad andare avanti piano».

Perché, alla fine, non è tornato sul punto dell’incidente?

«C’era molto traffico e mi sono fatto prendere dalla paura, dall’agitazione. Dentro di me dicevo: “Se il signore si è rialzato, non è niente di grave”. Mi trovavo senza assicurazione, senza patente, con mia madre invalida a casa da sola. Ho cominciato a pensare alle conseguenze del mio gesto. Mi sono detto: “Prendo tempo, vado a casa e ragiono sulla questione”. Ero sconvolto, agitato e tremante. Ancora adesso mi tremano le gambe. Sono sei giorni che ogni mezz’ora mi devo sedere».

Quando ha capito che l’uomo che lei dice di aver visto rialzarsi era morto?

«L’ho saputo il giorno dopo, dal telegiornale. Sono stato malissimo, ho pianto diverse volte quando mi sono reso conto di chi fosse. Conoscevo il dottor Cappelletti. A quel punto mi sono fatto prendere dal panico. Anche nei giorni seguenti ero indeciso su cosa fare».

Da quanto emerso dalle indagini, lei inizialmente avrebbe negato tutto.

«È vero. Al primo controllo della polizia, non ho detto la verità per paura delle conseguenze, perché ero senza patente e senza assicurazione. Al secondo controllo, in questura, mi hanno consigliato di dire la verità e l’ho detta. Potevo anche continuare ad oltranza a dichiararmi innocente, volendo ci potevo provare. Ma ho una coscienza e non ho mai fatto male a nessuno. Sono convinto che non è stato l’impatto che ho avuto con la bici a portare alla morte del signore. Però a causare la sequenza di eventi sono stato io: se non avessi preso l’auto non sarebbe accaduto nulla».

Dopo aver appreso che il dottor Cappelletti era morto e la polizia stava cercando «il pirata della strada», ha iniziato ad ordire un «piano»?

«No, non sono abile in questo. Ho solo pensato che la mia macchina era senza specchietto e che era il caso di procurarmene uno».

Dunque lei da subito ha cercato di nascondersi?

«Sì. Ho provato ad evitare conseguenze gravi. Purtroppo ho un lavoro da poche centinaia di euro al mese in una cooperativa sociale, mia madre invalida al 100% ed a mio carico. Mio padre è morto improvvisamente due anni fa. Non abbiamo niente, solo un mutuo che è abbastanza grosso per le nostre entrate. Siamo economicamente a terra. Credo sia umano pensare di nascondersi. Ma l’ho fatto più per mia madre che per me. Io sono disposto a fare 100 anni di prigione se mia madre non avesse conseguenze. Ma devo prendermi cura di lei. Le ho detto tutto, non ho potuto nasconderle niente».

Lei, che conosceva il dottor Cappelletti, ha provato a contattare la famiglia?

«Sì, sono stato a casa loro domenica mattina. Erano le 10. Ho cercato l’abitazione per quasi un’ora perché avevo sbagliato indirizzo. Ho suonato il campanello e sul pianerottolo mi è venuta incontro la moglie. Mi ha lasciato parlare, mi ha dato il tempo di scusarmi, di dirle che mi dispiaceva. Avevo un peso dentro e mi sentivo di andare, mi sembrava la cosa giusta. So che le mie scuse non servono a rimediare alla questione, perché non c’è più niente da fare».

C’è un altro automobilista coinvolto nel drammatico incidente, l’uomo che arrivava dal lato opposto e che si è trovato davanti il corpo del medico.

«Non so chi sia l’altro automobilista, ma capisco come possa sentirsi. Ciò che è accaduto poteva succedere a chiunque. Mi sono trovato il signore in bicicletta a cinque metri di distanza: non è una giustificazione, perché io ho sbagliato per primo ad andare in giro senza assicurazione e senza patente. Ma una dinamica del genere può capitare a chiunque, con la pioggia, in un tratto poco illuminato. Purtroppo questo è stato il destino. Mi accusano di essere un pirata, ma non sono un pirata né un delinquente: sono solo una persona sfortunata».


 

LA STRADINA DI CAMPAGNA PER DILEGUARSI

Se la svolta nelle indagini sul pirata della strada è arrivata grazie a due minuscoli frammenti di vernice raccolti dagli agenti della polizia stradale di Predazzo sul posto dell’incidente e sulla bici, nella caccia all’uomo che guidava la Fiat Punto scappata dopo avere travolto il medico hanno pesato anche tracce invisibili.
«Briciole» che hanno permesso agli investigatori - gli uomini della squadra mobile e della polizia stradale - di stringere il cerchio dei sospetti alla zona della Rotaliana: proprio la via di fuga scelta attraverso strade secondarie, se da una lato ha fatto «sparire» l’auto dai filmati delle telecamere, dall’altra era il segnale che alla guida potesse esserci una persona del posto.
Il 42enne la sera dell’incidente scendeva verso Trento, quando sulla statale del Brennero ha investito il dottor Fabio Cappelletti. Durante l’interrogatorio - davanti al procuratore capo Marco Gallina e alla pm Licia Scagliarini - l’indagato ha raccontato di essersi trovato la bicicletta in mezzo alla carreggiata, di avere frenato e tentato di scartare il mezzo. Una manovra che avrebbe fatto «imbarcare» la vecchia Punto, che ha poi urtato la bici. Nell’impatto, come noto, lo specchietto retrovisore dell’auto è finito a terra, insieme a quei «riccioli» di vernice blu.
Il 42enne di Mezzocorona ha proseguito per un chilometro e mezzo sulla statale e poi ha svoltato in una stradina laterale. Una circostanza confermata anche dai filmati: a Lavis, in effetti, l’automobile non è mai transitata. Ma proprio questa «assenza» ha convinto i poliziotti che il pirata fosse del posto e conoscesse le stradine di campagna.
Eppure, quando gli agenti - che hanno iniziato a bussare porta a porta dai proprietari di Fiat Punto blu vecchio modello - si sono presentati a casa sua, l’uomo ha sostenuto che l’auto fosse sempre rimasta in garage. Circostanza che avrebbe potuto sembrare credibile, visto che il mezzo non era assicurato e l’uomo privo di patente.  
Ma in questo caso, proprio dall’esame dei filmati - una telecamera all’ingresso di Trento - è arrivata la smentita: quel veicolo era transitato in città. Una bugia che ha fatto aumentare i sospetti.
Anche lo specchietto era al suo posto: ma un impercettibile segno di vernice bianca tradiva la provenienza da un altro veicolo. Dettagli che, messi uno accanto all’altro, sono diventati indizi.
Ma a portare gli inquirenti al 42enne di Mezzocorona sono state anche le segnalazioni dei cittadini: quella vecchia Punto, acquistata solo un mese prima, era balzata all’occhio di più persone.
L’indagine sull’investimento mortale di Cappelletti non si ferma tuttavia con l’individuazione dell’uomo fuggito dopo avere travolto la bici.
Resta da chiarire - e una risposta potrà arrivare dall’esito dell’autopsia - se il decesso del 62enne sia stato causato dal primo impatto o da quello con la seconda macchina, un’Audi A3, che si era ritrovata il corpo del povero medico sulla carreggiata e non era riuscita ad evitarlo.

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