In Uganda, per aiutare e per imparare

Lavorerà all'interno del progetto «Prima le mamme e i bambini»

di Matteo Lunelli

È pronto a partire per un'esperienza, professionale e umana, di grande importanza: per sei mesi, infatti, lavorerà in Uganda, presso l'ospedale di Aber, all'interno del progetto «Prima le mamme e i bambini». 
Lui è Giovanni Moser , giovane medico trentino. Nato a Trento nel 1987, dopo le elementari e medie a Gardolo, ha studiato al Da Vinci, indirizzo linguistico, e si è laureato in medicina a Verona. Ora è a metà del percorso di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva a Bologna, ma prima c'è l'Africa. 
«Esattamente dieci anni fa ho sorvolato per la prima volta l'Africa, andando in Brasile per un'esperienza di volontariato. Su quell'aereo ho deciso: prima o poi lì ci andrò. E lunedì arriverà il momento di partire e iniziare questa avventura». 
Perché questo viaggio in Uganda? 
«Il progetto di Medici con l'Africa Cuamm mi dà una possibilità unica: da una parte completa la mia formazione con un percorso all'estero e sul campo. Dall'altra mi permetterà di entrare in contatto con una realtà molto diversa». 
È preoccupato?
«Andrò in un contesto molto diverso dal nostro ma sicuro. Detto questo sto cercando di tenere le aspettative diciamo neutre: non so se sia una questione di incoscienza o inconsapevolezza, ma cerco di arrivare lì con animo e mente aperte e con tanta curiosità». 
Quale sarà il suo compito nell'ospedale? 
«Garantire il parto assistito alla future mamme e le cure ai loro bambini e migliorare l'accessibilità alle strutture sanitarie per le donne del distretto di Oyam». 
La cito: accessibilità agli ospedali per donne incinta. E mi viene in mente la polemica trentina sulla chiusura degli ospedali periferici. 
«In Uganda le donne vanno a partorire su pseudo motorini, diciamo che non è la stessa cosa. Uno dei progetti è quello di dare una sorta di voucher da usare per pagare il taxi al momento di recarsi all'ospedale. Sulla questione trentina direi che l'argomento è delicato e preferisco non sbilanciarmi. Posso dire che ci sono due aspetti contrastanti da considerare: la letteratura scientifica, che giustamente mette in relazione la sicurezza al numero di prestazioni, e la particolarità del nostro territorio». 
Cosa dicono genitori e amici del viaggio? 
«La mamma ha ovviamente presentato alcune perplessità, ma i miei genitori non hanno mai remato contro, anzi supportato e incoraggiato le mie scelte. Diciamo che se hanno delle preoccupazioni non le lasciano trasparire. Poi le mie due sorelle e gli amici tifano per me, e questo rende tutto più facile». 
Fino a marzo sarà in Uganda, poi terminerà la specializzazione. Ma tra cinque anni dove si immagina di essere? Magari al Santa Chiara? 
«Questa è la domanda da cento milioni di dollari. Chissà, le variabili sono tantissime. Certamente se parto per questo tipo di esperienze è anche perché penso ad altri periodo all'estero, nel mondo della cooperazione internazionale. Poi devo dire di volere molto bene alla mia terra, al mio Trentino: quindi in futuro spero di poter tornare a lavorare a Trento». 
A proposito di Trentino: anche dalla nostra provincia è possibile sostenere il lavoro di Giovanni Moser e del Cuamm (la Ong nata nel 1950 che realizza progetti anche in situazioni di emergenza per garantire servizi accessibili a tutti) con una donazione sul conto corrente postale 17101353 oppure online su mediciconlafrica.org: con 40 euro è possibile garantire il parto assistito a una futura mamma, mentre con 3 euro si garantisce il trasporto in ospedale.

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