Delitto di Carisolo, processo da rifare Annullata la condanna di Ina Celma

Annullata la condanna di Ina Celma

Il processo per il delitto di Carisolo dovrà essere rifatto. La Cassazione, infatti, ha annullato la sentenza di condanna a 12 anni inflitta ad Ina Celma, la 37enne che nella notte tra il 18 e il 19 ottobre 2011 massacrò a coltellate il suo compagno Marco Chiapparoli -  il mite insegnante di matematica che lavorava come supplente alle scuole di Spiazzo - rinviando gli atti alla Corte d’assise d’appello di Bolzano.

I giudici della Suprema corte hanno dunque accolto il ricorso presentato dalla difesa della donna, sostenuta dall’avvocato Andrea de Bertolini. La responsabilità di Ina Celma, che dopo avere colpito a morte il fidanzato aveva rivolto contro se stessa il coltello da cucina per togliersi la vita, non è mai stata in discussione. E pure la sua lunga storia di malattia mentale. Ma è sulla sua capacità di intendere e volere al momento del fatto che accusa e difesa si sono scontrate.

Per i giudici di primo grado, quando uccise, la 37enne rumena non era in grado di intendere e volere: per questo nel giugno 2013 venne prosciolta. Il giudice dispose però un ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario per almeno cinque anni, a fronte della pericolosità sociale della donna.

Il 19 gennaio 2015, invece, la Corte d’assise d’appello di Trento, era giunta a conclusioni opposte: aveva giudicato la donna imputabile, anche se con un vizio parziale di mente, condannandola a 12 anni di reclusione. Per districarsi tra tesi opposte - da una parte i periti della difesa che parlavano di totale incapacità e dall’altra quelli di accusa e parte civile convinti che la donna avesse piena capacità quando uccise il fidanzato - i giudici di secondo grado avevano disposto una nuova perizia.

Ma nemmeno questo era servito a fare chiarezza. Gli psichiatri, di fronte all’assenza di racconti da parte di Ina Celma, avevano concluso per l’impossibilità di stabilire se la donna fosse o meno capace al momento del fatto. Se per accusa e parte civile quell’amnesia era il frutto di una «simulazione», di una strategia messa in atto per ottenere il totale vizio di mente, la difesa aveva invece sottolineato come quel «blackout» sull’omicidio non facesse che confermare lo stato di malattia della donna, che soffriva anche di amnesia dissociativa.

Non solo. Secondo il legale, anche a fronte dell’assenza di un racconto, a «parlare» sarebbe stata proprio la malattia dell’imputata: disturbo di personalità borderline unito a disturbo dell’umore bipolare, con manifestazioni psicotiche e manie di persecuzione. Ma i giudici della Corte d’assise d’appello, come detto, alla fine l’avevano ritenuta imputabile.

La battaglia è proseguita in Cassazione. Il procuratore generale e la parte civile, in aula hanno chiesto la conferma della condanna, ribadendo che la donna fingesse di non ricordare nulla e che perfino il tentato suicidio facesse parte di questo piano dissimulatorio. Una tesi contestata dalla difesa. Quel giorno, secondo l’avvocato de Bertolini, la giovane agì per uno scompenso psicotico e non certo spinta da un movente di tipo razionale.

L’omicidio, aveva ribadito, era «contrario all’interesse dell’assassina. Con la morte di Marco Chiapparoli - scrisse nel ricorso - è morta qualsiasi speranza di vita di Ina Celma». È nella mente malata di Ina Celma, dunque, che per la difesa si trova la risposta a quel massacro. Ora saranno i giudici della Corte d’assise d’appello di Bolzano a dovere stabilire se la 37enne fosse affetta da vizio totale di mente al momento del fatto e dunque se sia o meno imputabile per avere ucciso con 30 coltellate l’uomo che avrebbe dovuto sposare.

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