Condanna da morta, il debito al figlio Battaglia da 40 anni con il fisco

Battaglia da 40 anni col fisco

Quando sua madre, titolare di una gioielleria, venne sottoposta all’accertamento tributario, era solo un ragazzino di 13 anni. Eppure per quel «debito» il conto viene presentato a lui, diventato nel frattempo un uomo di 50 anni. Se aggiungiamo il fatto che la sentenza che condannava la madre - peraltro dopo la vittoria in Commissione di primo e secondo grado - è arrivata sedici anni dopo la sua morte, si capisce perché Fabrizio Canevali, tecnico informatico di Trento, parli di vicenda kafkiana.

Ieri sera la sua storia e quella di una battaglia con il fisco che, di fatto, dura ormai da quarant’anni, ha attirato ieri l’attenzione della trasmissione «La Gabbia» in onda su La7. «Il mio atteggiamento non è di rabbia, ma oggi ho cinquant’anni e voglio che la mia vita sia limpida, perché non ho mai commesso nulla di sbagliato. Allora, chi ha il potere di togliere ed emettere cartelle, irridere le sentenze, per me va fermato. A tutela delle stesse istituzioni», evidenzia, dicendosi pronto anche a chiedere i danni.

Il contenzioso fiscale, come detto, inizia da molto lontano, durante gli anni di attività della madre in gioielleria, nel corso dei quali è stata oggetto di tre accertamenti. L’ultimo, quello scattato nel 1981 per una presunta evasione fiscale da un miliardo e mezzo di lire, si era concluso con la vittoria della signora in tutti e tre i gradi.

Il primo, quello scattato nel 1974, si era concluso con l’adesione della donna alla sanatoria e la chiusura del contenzioso. «Ma l’Agenzia delle entrate - spiega - nel 2002 ha chiesto ad Equitalia di emettere due cartelle esattoriali per 150mila euro ciascuna, a carico mio e di mio fratello, tralasciando il terzo figlio residente a Milano. Cartelle che non potevano essere emesse - evidenzia - visto che il contenzioso nel 1994 era stato sanato con condono tombale».

Non meno incredibile, secondo quanto denuncia l’uomo - che nel 2015 aveva presentato anche un esposto in procura, poi archiviato - l’esito dell’accertamento del 1979 (debito Irpef e Ilor). La donna fa ricorso e vince sia in primo che secondo grado. L’amministrazione finanziaria non cede e nel 1996 impugna la decisione alla Commissione centrale, dove il ricorso giace fino al 2012.

«Nel frattempo, era il 23 marzo 1997, mia madre è morta e, poco dopo, è morto anche il commercialista che l’aveva seguita nel contenzioso». Il 27 aprile 2012, dunque 15 anni dopo la morte della donna e a 33 dall’accertamento, arriva la sentenza: accolto il ricorso dell’amministrazione. Quanto alla signora, evidenzia con amarezza il figlio, in sentenza si legge: «Non si costituiva la ricorrente e nemmeno il procuratore che l’ha assistita».

Già, erano morti. E per l’uomo il fisco lo sapeva, visto che già nel 2002 lo aveva chiamato in causa come erede. «A quel punto l’Agenzia delle entrate si fa forte di questa sentenza e in maniera imbarazzante - sottolinea - richiama una sentenza della Cassazione che, in caso di condanna della parte deceduta, prevede che l’ azione per rientrare dell’obbligazione possa essere rivolta solo ad uno degli eredi. Qui invece solo io e mio fratello abbiamo ricevuto la cartella (da 150mila euro), ma mia madre aveva dichiarato erede unico mio padre». Sul punto il contenzioso è ancora aperto.

Fonti interne dell’Agenzia delle entrate chiariscono che il fisco è disponibile a incontrare il contribuente e a riesaminare la questione e gli aspetti giuridici legati al debito fiscale. I sindacalisti della Fp Cisl, invece, sostengono che «è inaccettabile attaccare chi fa il proprio dovere per far rispettare le leggi dello Stato».

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