«Nessuno ci disse della nube tossica»

Oggi è una mamma, una moglie, una lavoratrice a Trento. Ma quando aveva solo 5 anni ha vissuto da vicino uno dei disastri più grandi della storia. Yuliya Baltsevich prova a tornare indietro nel tempo. «Abitavamo a Chechersk, a nord di Chernobyl. Quando avvenne l'incidente alla centrale nucleare avevo solamente cinque anni e quindi non ricordo molto. Però ho sentito tanti racconti da parte dei miei genitori e dei miei nonni. I fatti avvennero il 26 aprile: l'1 maggio c'era la grande dimostrazione per la Festa dei Lavoratori, che in Russia era molto sentita e importante. Tutti uscimmo e andammo in strada a festeggiare. E nessuno sapeva nulla». 

Il governo sovietico inizialmente cercò di tenere nascosta la notizia del grave incidente nucleare: basti pensare che l'inizio delle operazioni di evacuazione delle persone avvenne oltre 36 ore dopo l'esplosione. Operazioni che durarono un mese intero. «I nonni mi hanno raccontato di aver sentito un forte colpo e di aver visto delle nubi, spinte da un forte vento. Ma non c'erano informazioni e quindi nessuno poteva capire o solo immaginare quello che era accaduto. Poi furono costretti ad abbandonare la città, una bellissima località sul fiume, frequentata da tanti turisti russi. Il governò trovo una sistemazione per tutti e i nonni andarono a Grodno, nel nord ovest della Bielorussia». Il sostanziale silenzio delle autorità prosegue ancora, dopo trent'anni: un conteggio ufficiale di vittime, danni e ripercussioni non c'è mai stato. «Il tema è delicato, se ne parla poco. Certe cause-effetto sono difficili se non impossibili da dimostrare». 

Il disastro fu la causa del primo viaggio di Yuliya in Italia: «Ero ancora una bambina e andai in Sicilia, come tanti che abitavano nell'area di Chernobyl. L'Italia era la meta preferita, ma tanti Paesi europei vennero e sono tuttora coinvolti in quei progetti di solidarietà. Mi venne regalato un dizionario russo-italiano e iniziò la mia passione. Quando mi sono iscritta all'università a Minsk ho scelto l'italiano come seconda lingua e ho iniziato a fare l'interprete». La prima volta di Yuliya in Trentino risale a quindici anni fa. «Avevo 21 anni, sono stata a Nomi e in val di Non. Accompagnavo i bambini nei loro viaggi: qui trovavano aria e cibo buoni e salutari, oltre a una splendida accoglienza. Poi sono tornata per studiare: la mia laurea russa è stata riconosciuta come una triennale e così a Trento ho fatto la specialistica. Mi sono laureata, poi mi sono sposata e ho avuto due bambini». 

Ma questa è un'altra storia, è la vita di Yuliya. Che trent'anni fa era troppo piccola per capire cosa fosse quella nube.

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